Agli elettori viene chiesto se vogliono che alla propria regione siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia.
Una tale richiesta è possibile ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione che riconosce alle Regioni a statuto ordinario la possibilità di accedere a condizioni differenziate di autonomia attraverso una procedura articolata e complessa “in tutte le materie attribuite alla potestà legislativa concorrente Stato-Regioni (art. 117, comma 3) e in alcune delle specifiche materie attribuite alla potestà legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2)”, ricorda la Lombardia sul proprio sito aggiungendo: “La procedura istituzionale si avvia con un’iniziativa della Regione, sentiti gli enti locali, e si conclude con una legge dello Stato approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”. Insomma, nel caso in cui vincessero i SI, non cambierebbe nulla immediatamente.
Quorum – Trattandosi di un referendum consultivo, non è previsto un quorum (numero minimo di votanti affinché la consultazione sia ritenuta valida) ma, a prescindere da quante persone avranno partecipato, conterà la vittoria del SI o del NO. Una maggioranza di SI può dare una maggiore forza contrattuale, come ha sottolineato il presidente della Lombardia Roberto Maroni. In base all’art. 116 della Costituzione, infatti, il referendum non è necessario alla richiesta di maggiore autonomia.
Le regioni – I governatori di Lombardia e Veneto, Maroni e Luca Zaia, hanno come obiettivo principale quello del federalismo fiscale. Come accade per la Catalogna, dietro la volontà di una maggiore autonomia c’è il fattore economico. Ad esempio “la Lombardia è la regione che versa più tasse allo Stato ricevendo, in cambio, meno trasferimenti in termini di spesa pubblica”, si legge sul sito della regione. Non a caso Emilia Romagna (che ha deciso di procedere verso una maggiore autonomia senza un referendum ma solo aprendo un tavolo con il governo) e Veneto sono le regioni con un maggiore residuo fiscale dopo la Lombardia (fonte: Éupolis Lombardia). Ma gli schei (i soldi in dialetto veneto) non sono l’unica ragione dietro questo referendum. A Maroni ad esempio interessa la competenza sulla sicurezza, per poter decidere sull’accoglienza e sui flussi migratori.
Chi è d’accordo e chi no– Tra le file delle forze politiche favorevoli al referendum e a un vittoria del sì non ci sono solo Lega e il centrodestra, ma anche il M5S. Il Pd è invece diviso, e alcuni sindaci lombardi del Pd, tra cui il primo cittadino di Milano Giuseppe Sala e di Bergamo Giorgio Gori. E lo stesso Maroni si dice favorevole, superando le appartenenze ideologiche, ad ”andare a trattare con il governo con tutti coloro che sostengono il referendum dai grillini agli esponenti del Pd”. Ma anche all’interno del centrodestra c’è chi storce il naso, come Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) che ha definito inutili questi referendum, ritenendo “non utile creare i presupposti per un egoismo locale che rischia di indebolire l’intero sistema produttivo-economico fondato sull’unità della nazione. La ricchezza del Nord è effimera al di fuori della coesione nazionale”.
Novità – In occasione del referendum la Regione Lombardia sperimenterà per la prima volta in Italia il sistema di voto elettronico grazie a una piattaforma digitale che registrerà le preferenze dei votanti e fornirà i risultati al termine delle votazioni. Sullo schermo sarà riprodotto il quesito e tre caselle: SI, NO, BIANCA. Non è possibile l’opzione della scheda nulla.
Come, quando e dove si vota – Possono partecipare al referendum consultivo tutti i cittadini italiani residenti in Lombardia/Veneto iscritti nelle liste elettorali. Le operazioni di voto avranno inizio alle 7 di domenica 22 ottobre e termineranno alle 23 dello stesso giorno. Per votare occorre recarsi presso il seggio indicato sulla propria tessera elettorale, con un documento d’identità valido. Gli elettori sprovvisti della tessera elettorale (che non è necessaria) possono rivolgersi agli uffici del comune di residenza per conoscere l’ubicazione del proprio seggio. In Veneto invece l’elettore – che voterà come sempre tracciando sulla scheda con la matita un segno sulla risposta da lui prescelta e, comunque, nel rettangolo che la contiene – dovrà presentarsi al seggio indicato nella propria tessera elettorale, munito di un documento di riconoscimento valido.