Per parlare di quei “4 amici al Massimo”, come li etichetta in Rete un palermitano che ha contato i partecipanti all’apertura della lunga campagna elettorale siciliana dei Cinque Stelle”, questa mattina,a piazza Massimo, appunto, a Palermo, voglio partire da due elementi. Uno siciliano, l’altro è quello che tiene banco a Roma.
In Sicilia c’è un solo sindaco sotto i 30 anni, un terzo dei sindaci dell’Isola è ultra sessantenne. Per restare ai numeri, se due più due fa quattro, dalla veloce ricerca sul profilo dei sindaci siciliani si deve trarre la conclusione amara e drammatica che tra i giovani siciliani e la politica c’è un vallone profondo, pauroso. Non che i giovani non facciano politica, la fanno, ma quella vera, fatta di idee, progetti e relazioni.
Lo so per esperienza diretta, conoscendo nel profondo le “idee politiche” di mio figlio, che vive a Palermo, e che mentre scrivo è a Rosarno, in Calabria, per confrontarsi con altri giovani, di altre regioni d’Italia. Quella che ben si disse “la meglio gioventù”. Provano a costruire una Politica vera, sciaguratamente tenuta a distanza dalla presunta politica che alla fine decide la loro vita, la nostra, e finisce con l’ammazzare idee e progettualità.
L’altro elemento ci avvicina ai Grillini. Se un risultato ha ottenuto Feltri con l’ormai famoso titolo di Libero, è quello di aver dato una boccata d’ossigeno ad una agonizzante sindacatura, quella della Raggi, a Roma.
Ammetto, ad una primissima lettura, quando ancora non erano scoppiate le polemiche, nel titolo di Libero non avevo colto il doppio senso. La mia considerazione del mistero e della bellezza del sesso femminile non mi avrebbe mai portato ad etichettarlo col nome di un tubero. Feltri, che ha il difetto di sentirsi più intelligente di ogni altro gli stia attorno, e che per questa convinzione ritiene di poter avere sempre in tasca uno speciale lasciapassare, ha giocato sul doppio senso. Non si è scusato, e ha fatto collezionare alla Raggi giuste e diffuse indignazioni. Nel momento di maggiore affanno.
Accenno a questo perché le sorti di Roma condizioneranno molto le sorti dei grillini di Palermo. Prima delle difficoltà romane, prima degli errori e dei pasticci venuti a galla a Palermo a proposito della raccolta delle firme alle passate amministrative, la loro strada dei grillini in Sicilia era in discesa. In una Regione profondamente provata economicamente, orfana, come dicevo, di una Politica con la P maiuscola, facile che il voto finisca col rifugiarsi nella presunta antipolitica di Grillo. Senza le difficoltà intervenute a Palermo e a Roma, facile un colpo da biliardo che desse loro Palermo e Regione.
I “quattro amici al Massimo” di questa mattina erano la spia di queste difficoltà. Sul palco in dieci, Di Maio in testa, con accanto il giovane candidato a sindaco, in piazza poche decine, Missione impossibile trovare un’idea negli interventi dal palco, se si fosse ancora al tempo del “mangiacassette”, si sarebbe detto che tutti avevano ingoiato la stessa cassetta musicale.
Detto questo, il successo dei grillini a Palermo può essere determinato solo dalla fragilità e dagli errori del centrosinistra dal masochismo di proporre il peggio nel peggiore dei modi. Come è accaduto a Roma, del resto. Nella capitale, la disfatta era scritta in anticipo. Cosa si muove a Palermo? Le carte le dà Leoluca Orlando. Sa delle enormi debolezze del Pd siciliano e mette se stesso e le sue scelte al centro delle scelte degli altri:”Chiedo alle liste di farsi un po’ contaminare da me”, dice Leoluca Orlando, categorico.
Il messaggio è che se davvero gli alfaniani di Ncd ma soprattutto il Pd vorranno correre con Orlando dovranno farlo in nome “del partito Palermo” ed in ogni caso nessuno – aggiunge Orlando – dovrà snaturare “l’esperienza eversiva portata avanti fino a ora”. Nessuna spartizione “di poltrone” e nessuna ingerenza nelle scelte programmatiche fondamentali: “Il sindaco sono io e le scelte le faccio io”. Più chiaro di così…
Del resto, per storia personale e politica, vuoi o non vuoi, Orlando che detta la linea a tutti, è la sola chance rintracciabile nell’attuale panorama. Il Pd non ha saputo costruire una alternativa. Non ha gli strumenti mentali, culturali, per farlo. Colpa di quel vallone profondo. In sintesi, sosa dice Orlando? Che Sinistra comune (vi aderiscono due suoi assessori) deve condividere il percorso, no a liste di partito, solo liste civiche e aperte a tutti, anche a chi proviene da altre esperienze politiche. Pd e Ncd, devono rispettare il percorso indicato dal sindaco: “Niente bolli di partito nelle liste”. Che non significa solo assenza di simbolo ma anche scelta accurata dei candidati. Il Pd prova a resistere e punta sull’orgoglio. Ma ha pochi spazi, al suo interno è diviso, e non certo per ragioni riconducibili a idee, pesante il lavoro svolto dal renziano Faraone, ora alle prese con il dopo renzismo, sullo sfondo le regionali e la variante “pazza” di Rosario Crocetta, anche lui allergico a quei simboli difesi dal Pd. Ha già pronto un simbolo con stelle incluse e lo pone come elemento di partenza e di arrivo. Partita difficilissima la sua, con i grillini che, allo stato, hanno una fragile candidatura Cancelleri, ma che sognano il colpo grosso, un magistrato come Nino Di Matteo che sbancherebbe.
Allo stato Nino Di Matteo è solo leader incontrastato di ogni sondaggio sul siciliano dei siciliani. La partita è aperta. Ma non è una bella partita e non è politica. La Politica resta altrove, mortificata.
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