Subito dopo il [url”discorso del premier-segretario Matteo Renzi”]http://www.globalist.es/Detail_News_Display?ID=63234&typeb=0&Renzi-sono-pronto-a-sfidare-i-sindacati[/url], tra i primi a dichiarare il proprio dissenso c’è Massimo D’Alema che ha sottolineato: “Sono affascinato dall’oratoria di Matteo Renzi. Ma il fascino dell’oratoria talvolta all’ascoltatore attento non riesce a fare sì che ci sia una qualche attinenza tra una parte delle osservazioni che vengono fatte e la realtà. Ancor più in quaesta fase, il dibattito politico deve mantenere un ancoraggio alla realtà”.
“Io – ha aggiunto l’ex presidente del consiglio – potrei fare una lunghissima elencazione di affermazioni prive di fondamento. E’ la prima volta che si interviene sul costo del lavoro. Ma il governo Prodi investì 7 miliardi nella riduzione del cuneo fiscale. Si parla di un tabù, ma parliamo di riformare una norma modificata due anni fa. La legge Fornero prevedeva un monitoraggio degli effetti che ad ora non è stato compiuto e che sarebbe una premessa indispensabile anche perché l’articolo 18 non esiste più ma esiste una tutela residuale esclusiva a casi di gravissima illegittimità”.
A D’Alema fa eco anche Pippo Civati, il capo della minoranza del partito che si è sempre opposta alla riforma del mercato del lavoro: “Non ho la stessa leggerezza di Massimo D’Alema. Sono preoccupato. Ieri sera in tv, io ho visto un premier che diceva cose di destra, simili a quello che diceva la destra 10 anni fa” ha detto quindi Civati. “Voglio un contratto unico che sia
unico, non aggirabile”, ha sottolineato. Poi si è posto una domanda: “Quali le risorse? Avrei voluto vedere un file Excel come quello che Renzi chiedeva a Letta all’inizio di questa storia”. Infine la richiesta di capire “se qualche emendamento delle terribili minoranze vedrà il favore del gruppo Pd, perché anche su questo si vede il passo della mediazione”. Infine ha concluso: “Per me non c’è nessun problema se il contratto unico a tutele crescente di Tito Boeri di qualche anno, quando tutti erano contrari, a quel punto sono pronto a sottoscriverlo. Ma io voglio un contratto unico che sia davvero unico, e non aggirabile in mille modi, altrimenti non ci siamo capiti”.
Duro nei toni anche l’ex segretario Pierluigi Bersani: “Noi sull’orlo del baratro non ci andiamo per l’articolo 18. Ci andiamo per il metodo Boffo, perché se uno dice la sua, deve poterla dire senza che gli venga tolta la dignità. Vedo neofiti della ditta dei neoconvertiti, che mi spiegano come si sta in un partito, ma non funziona così, perché voglio discutere di una svolta di questa natura prima che ci sia un prendere o lasciare, prima che mi si incarichi di far traballare il governo”.
Bersani ha poi sottolineato la mancanza “di sostanza riformatrice” nella proposta di riforma del lavoro. “E non mi si venga a dire che in passato non abbiamo mai fatto niente. Abbiamo fatto riforme hard, molto hard. A nessuno trema il polso a cambiare le cose, non è questo il punto. Al contrario, si perde un’occasione. Certo ci vuole una riforma del mercato del lavoro – ha concluso – che nel secondo paese industriale deve voler dire qualità e produttività e sappiamo che non abbiamo qualità perché c’è troppa precariètà. Va bene unificare i contratti ma attenzione a dire che l’articolo 18 è simbolico, non vale niente. Per 8 milioni di persone conta qualcosa nel rapporto di forza e per chi si dice di sinistra è una questione di principio: dice che non è tutto monetizzabile”.
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