Nuovo corso renziano: che noia il Parlamento

I passaggi parlamentari vissuti con noia e insofferenza per i riti di questa democrazia in crisi. Atteggiamenti che ricordano Berlusconi e Grillo.

Nuovo corso renziano: che noia il Parlamento
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25 Febbraio 2014 - 17.48


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di Claudio Visani

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“Ok al Senato, ora alla Camera. Poi si comincia a lavorare sul serio”. Il tweet all’alba del Presidente del Consiglio – così come le mani in tasca al Senato, gli sbadigli e le continue “distrazioni” al cellulare durante il dibattito alla Camera – riassumono bene, mi pare, il nuovo corso renziano. Che, mi pare, nell’approccio assomiglia molto al vecchio corso berlusconiano. E anche, un poco, al fuori corso grillesco. Il passaggio del dibattito sulla fiducia al Senato e alla Camera vissuto (almeno, così sembra) come una sostanziale perdita di tempo. Il Parlamento che annoia. Una non celata insofferenza per gli “stanchi” riti politici e istituzionali di questa nostra democrazia in crisi.

Il discorso a braccio, in questo contesto, è solo la ciliegina sulla torta di un Matteo Renzi che non vuole tradire il suo “clichè” di ragazzo del popolo (che parla come mangia, direbbe Piergiorgio Paterlini), ma appare a tratti esilarante nel suo essere “crozziano” (“non ho l’età” con citazione di Gigliola Cinquetti, “più mercati rionali meno mercati finanziari”, “no al Truman show sì al sogno”, “basta piagnistei più coraggio”, fino all’appello finale: “cari senatori, votatemi che vi sopprimerò”; mancavano solo “meno Pil più Pilates” e “meno tute blue più bluetooth”) quanto imbarazzante, direi al di sotto del minimo sindacale, sotto l’aspetto programmatico e politico. Al netto della retorica da talk show sulle bellezze, le potenzialità e le ricchezze dell’Italia e degli italiani, il nuovo “sindaco d’Italia” non ha detto una parola chiara su quasi nulla.

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Diciamolo: un esordio poco felice del suo “governo del fare”, che era cominciato con la scivolata del fido Graziano Delrio sulla tassazione dei Bot delle nonne, è proseguito con un voto di fiducia al Senato che gli ha regalato una risicata maggioranza (169 voti su 315, contro i 173 di Letta), si è concluso tra gli applausi a distanza del Caimano (“è come me, parla all’Italia non al Palazzo”) e l’opposizione “dolce” di Forza Italia contrapposti al voto compatto ma assai tiepido e con molti mal di pancia di parecchi parlamentari del suo stesso partito (bersaniani, civatiani e lettiani). Tanto che un intellettuale e persona seria come Miguel Gotor si è detto “sorpreso per la scarsezza dei contenuti programmatici e per i toni da comizio di piazza”. Poi,
riferendosi alla staffetta con Letta, ha parlato di “presa del potere nel segno dell’avventura” da parte di Renzi. E ha concluso confessando di votare la fiducia solo “per disciplina di partito”.

Diffidenze e perplessità a parte, ora bisognerà vedere alla prova dei fatti questo che molti osservatori hanno dipinto come il “governo politico del primo ministro” e basta (ma con quella maggioranza, con Alfano, Mauro e Giovanardi come alleati, potrà essere davvero così?). La sensazione dopo l’esordio alle Camere, intanto, è che stiamo entrando in una Repubblica presidenziale a nostra insaputa. Dove, peraltro, non contano più i programmi, le idee e le politiche, ma solo chi guida la nave. C’è solo da augurarsi che non sia previsto anche l’inchino.

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