Beppe Grillo a quell’incontro non ci voleva andare. L’ineffabile democrazia del web lo ha smentito, e lui è andato a dispetto, buttandola subito – come si dice a Roma – in “caciara”. Così lo streaming ci ha servito una arringa desolante, a metà strada tra avanspettacolo e caravanserraglio.
L’uomo è violento e già si sapeva. L’uomo è di destra, e forse qualcuno comincia a rendersene conto. Tanto valeva presentarsi in camicia nera e urlare un semplice “me ne frego!”. Gli argomenti “di sinistra” scaraventati sul tavolo da questo ex comico spompato sono paccottiglia, espedienti retorici e slogan maldigeriti.
Eppure, una vena di autentica disperazione è sembrata attraversare questa penosa performance. Disperazione visibile plasticamente nell’imbarazzo dei parlamentari-cittadini scelti per accompagnare il capo. Il “non ti faccio parlare”, urlato da Grillo a Renzi è in realtà un messaggio rivolto ai malcapitati eletti nelle file del suo stesso movimento. L’ex comico è passato tutti i mutamenti politici del dopo elezioni come una salamandra attraverso il fuoco: indenne, sempre uguale a se stesso. Più arduo il compito dei deputati-cittadini, entrati nel Palazzo – vi ricordate? – per aprire il Parlamento come una scatola di tonno, e ridotti a un inutile coro di urlatori. Un corpaccione ripiegato su se stesso, stressato e indocile, continuamente richiamato all’ordine dai guru fondatori e dal Politburò della comunicazione.
Per un Grillo che vuole disperatamente “stare fuori”, c’è un Berlusconi che vuole disperatamente “stare dentro”. Anche il cavaliere, che fu caimano e giaguaro, alla soglia degli ottant’ anni si è trasformato in salamandra. Sempre uguale a se stesso, guidato dalla stella polare dell’ “io speriamo che me la cavo”, medita di scaraventare un manipolo di parlamentari nell’ingranaggio del nuovo governo, facendo votare una imbarazzante fiducia al nuovo premier. Le due salamandre non hanno nulla da perdere: in un Paese debole, questa è la loro forza.
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