di Fabio Luppino
Il voto di questa sera ci conferma che il Pd è un partito allegramente allo sbando e che il suo segretario conta sempre meno: sta fallendo su tutti i fronti, sta perdendo la faccia. Prodi si ferma sotto i 400 voti. Alla partenza il quorum non era lontano, nel corso dello spoglio è sembrato lontanissimo, impossibile.
Prodi è bruciato. La notte che sta arrivando non potrà produrre un’altra svolta. Non sarebbe serio. I congiurati democratici hanno mandato un segnale inequivocabile: questa è una strada sbagliata. L’unico collante del Pd è l’antigrillismo e al momento rappresenta la prigione in cui si è infilato o si è fatto infilare Bersani. Trattare Grillo con i metodi della vecchia politica significa non aver capito niente di quel che è accaduto in Italia il 25 febbraio. O meglio, con l’andar del tempo esserselo dimenticato. Ecco che tornano in auge quelli da sempre dediti alle trame di palazzo. La soluzione sta nel mezzo secondo le consuetudini di un tempo, nel mettere a disposizione poltrone per vedere se si possono fare larghe intese e poi chiamarle con un altro nome. Perché è inutile continuare a negarlo: Quirinale e governo sono strettamente connessi. Convincere Monti e far finta di non sporcarsi le mani con Berlusconi.
Il gruppo dirigente del Pd sta scegliendo di mettersi contro il suo elettorato. Qualcuno lo fa da tempo, in un modo tutto suo di interpretare il senza vincolo di mandato scritto nella Costituzione. Lo scriviamo da giorni. Sarà Berlusconi a candidare un pd gradito e il pd lo dovrà votare. Sarà D’Alema. Allora per Bersani il cerchio si stringerà inesorabilmente se è vero del patto di non aggressione fatto con il sindaco di Firenze, un po’ troppo animato in questi giorni da realismo politico, sotterrando abilmente l’ascia del rottamatore.
Bersani ha una sola possibilità. Dotarsi di una umiltà tipica dei tempi che viviamo e dei grandi di oggi, a partire da Papa Francesco, e fare un’apertura sin qui considerata impossibile: dire sì a Rodotà e discutere con Grillo. Non succederà, ne siamo certi. Poi un giorno qualcuno ci spiegherà come Rodotà sia diventato da esempio a reietto solo perché è stato toccato da mani grilline. Se Bersani fosse capace di fare questo conquisterebbe i suoi elettori e sconfiggerebbe i notabili. Senza un gesto così, dimettersi sarebbe l’unica cosa degna da fare. E questo ha fatto.
Argomenti: beppe grillo silvio berlusconi