La chance di Bersani
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La chance di Bersani

Il Segretario Pd dovrà vedersela con Monti, ma comincia bene con Palestina e Medio Oriente. La sfida del rinnovamento all’interno e un quadro politico agitato. [Francesco Peloso]

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3 Dicembre 2012 - 20.45


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Di Francesco Peloso

Bersani ha cominciato facendo una cosa che ci piace, ha deciso di andare in Libia ad incontrare il nuovo governo di Tripoli. Dunque è arrivato il momento di riportare la politica alla sua dimensione reale: non c’è solo la battaglia interna ma anche la sua dimensione sovranazionale, che certo è europea e però allo stesso tempo mediterranea e mediorientale. Il pronunciamento del Segretario del Pd a favore del riconoscimento della Palestina alle Nazioni Unite ha anticipato la posizione del governo italiano che, come appare sempre più evidente con il passare delle ore, si è mosso in sintonia con la Casa Bianca e con altri governi del vecchio continente. Da ultimo, per la prima volta, Parigi e Londra hanno fatto capire che le intemperanze di Netanyahu messe in atto attraverso la rappresaglia dei nuovi insediamenti nei territori occupati, non vengono più tollerate in silenzio. Anche un vecchio conservatore israeliano come Ehud Olmert ha attaccato la scelta del governo del suo Paese. Insomma per la prima volta da molti anni la posizione del centrosinistra sul piano internazionale guarda ai processi di pace, alla politica e non subisce l’iniziativa altrui né quella delle destre.

D’altro canto appare subito abbastanza evidente, almeno in questi giorni, come l’attuale premier Monti non intenda farsi da parte tanto facilmente di fronte a possibili novità elettorali. Rivendica l’abbattimento dello spread, comincia a vagheggiare riduzioni delle tasse, pochi giorni fa, poi, ha fatto capire ai mercati e agli interlocutori internazionali: “io non garantisco per il dopo”, intendendo con ciò ‘il dopo di me’ naturalmente. Poi si è corretto ma il messaggio intanto era partito.

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E allora, superata la fase convulsa delle primarie, comincia ad emergere uno scenario ancora incerto. Bersani e il centrosinistra riusciranno a conquistare la guida del Paese o la quasi inevitabile alleanza con il fantomatico centro riporterà a Palazzo Chigi Mario Monti? Quest’ultimo lo vogliono la Casa Bianca, i mitici mercati, le cancellerie di mezzo mondo. Ma certo l’affermazione democratica di una forza politica alle elezioni e del suo leader non potrebbe essere contestata tanto facilmente.

Bersani ha fatto capire a più riprese che la parola deve tornare alla politica, quindi che la stagione dei governi tecnici e del commissariamento internazionale del Paese deve finire. Non tutto è scontato. La linea Monti è rigorista, neoliberista, parla però anche la lingua della legalità, della lotta all’evasione, della riforma dell’amministrazione. Ma arriverà, inevitabilmente, il tempo delle scelte forti, quelle che mancano ancora nel linguaggio del Pd: la difesa dello Stato sociale, della scuola e della sanità come beni collettivi, la tutela dell’ambiente, una visione sociale dell’Europa. Su questi temi crediamo che, alla lunga, non ci potrà essere compatibilità con il montismo.

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Il rischio è che si vada incontro all’ennesima mediazione in cui la idee della sinistra saranno costrette a fare marcia indietro di fronte alle varie agende: quella di Monti, quella dell’Europa e via dicendo. Oppure la scommessa verrà vinta ma allora che ruolo giocherà il Monti senatore a vita? In questo senso andrebbe valutata senza retorica anche la condotta del Presidente della Repubblica che non sembra giocare in favore del suo ex partito quanto piuttosto per soluzioni istituzionali che, se prolungate, possono finire con lo svuotare del tutto i connotati della nostra democrazia. Certo, ancora non sappiamo se il ‘centro’, sempre di più ‘l’isola che non c’è’ della politica italiana, saprà mettere insieme persone e idee; per ora c’è Montezemolo e non è un buon viatico, la cultura cattolica da quelle parti, ma anche nel Pd, sembra al palo, finora non ha espresso grandi proposte. E Bersani? Da lui ci si attende forse troppo, abbiamo già espresso qualche dubbio sulla sua tenuta, ma ora, è giusto – inevitabile? – sostenerlo in questa battaglia. Resta da vedere, tuttavia, se il ‘rinnovamento’ del partito, delle liste, dei gruppi dirigenti, diventerà realtà o resterà – come sempre è avvenuto e da qui una buona dose di pessimismo – un sogno. Da questo punto di vista sembra che l’attuale leader del Pd abbia capito che, al di là delle varie incertezze e cadute ideologiche di Renzi, ciò che il sindaco di Firenze rappresenta non possa essere liquidato con disprezzo come hanno fatto per mesi i vecchi capi del Pd reduci da mille sconfitte e da infiniti quanto devastanti lotte intestine. Giustizia sociale e modernizzazione dell’amministrazione, del mercato del lavoro (con nuove formulazioni di diritti e garanzie, altrimenti non è modernizzazione ma ritorno all’ ’800), sono elementi che vanno tenuti insieme a tutti i costi, altrimenti il Paese si sfascerà dal punto di vista generazionale e sociale e l’emigrazione degli italiani di nuova generazione verso altri Paesi e opportunità prenderà forme ancora non immaginabili. Dunque il compito è complesso.

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Nell’insieme Bersani ha davanti diverse questioni: la costruzione di un nuovo sistema di alleanze, una competition inevitabile con Monti che però potrebbe essere anche il suo difficile alleato, il rinnovamento del partito in tempi non giurassici, la capacità di dire non tanto qualcosa di sinistra ma soprattutto di fare, a questo punto, proposte radicali anche su temi sociali, economici, ambientali. Ce la farà Pierluigi? Crediamo che se si circondasse di un vero gruppo dirigente, cioè di intelligenze creative e non addomesticabili, di persone che non appartengono più al passato, avrebbe qualche chance in più.

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