Berlusconi e la paura che vinca Bersani
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Berlusconi e la paura che vinca Bersani

Alfano rischierebbe di diventare il Martinazzoli del Pdl. E allora Silvio minaccia la "ri-discesa in campo" per salvare il vero obiettivo: impedire che vinca Bersani.

Berlusconi e la paura che vinca Bersani
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14 Luglio 2012 - 18.52


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di Maurizio Ambrogi

Un Pdl con Alfano (e senza Berlusconi) avrebbe rischiato di fare la fine del Partito popolare di Martinazzoli, erede della Balena bianca, che spiaggiò nel ‘94 con un misero 11 per cento (contribuendo ad aprire la strada proprio al ventennio berlusconiano, significativa nemesi). Questa è la vera ragione politica che spinge Berlusconi a rischiare l’osso del collo per la sesta volta, dopo essere uscito di scena senza molta gloria nel novembre scorso. Un partito al 10 per cento sarebbe una catastrofe anche per lui, che rimarrebbe senza scudo ai margini della vita politica italiana, consegnato ai nemici di sempre (la sinistra) e quelli di oggi (l’establishment tecnico-bancario).

Ammesso che la (ri)discesa in campo sia confermata (più volte il personaggio ci ha abituato ad annunci e ripensamenti, come se nulla fosse) non è detto che la spinta di un Berlusconi comunque ridimensionato e sconfitto, possa valere quel 30 per cento di cui parlano i sondaggisti più indulgenti (specificando peraltro che non si tratta di voti, ma di spazio elettorale): certo è che ridurre le perdite, attestarsi anche al 20 per cento, significherebbe per Berlusconi mantenere una forza parlamentare significativa, e magari impedire alla sinistra una vittoria piena, rientrando in gioco in una riedizione delle larghe intese. Perché questa è ormai la vera alternativa che una parte della destra coltiva per impedire una vittoria della sinistra.

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Lo si vede anche dalla trattativa in corso sulla legge elettorale, con una forte propensione per il ritorno al proporzionale, e con un ridotto premio di maggioranza al partito vincitore: schema su cui sembrano convergere Pdl, Lega e Udc. Del resto anche un porcellum corretto (cioè stabilendo una soglia alta per ottenere il premio di maggioranza) rischia di far uscire dalle urne uno scenario stile Grecia. Manovra rischiosa, comunque, quella di Berlusconi.
La sua discesa in campo non solo allarma le cancellerie internazionali, ma blocca qualsiasi tentativo di rinnovare il centrodestra e di riaprirlo all’alleanza con i centristi (uno scenario su cui puntava molto la diplomazia d’Oltretevere). Anche se Berlusconi promette (ora) una campagna elettorale con toni pacati, la sua sola presenza impedisce a questa destra di presentarsi in modo credibile come erede di Monti: un altro vantaggio regalato allo o agli schieramenti avversi.

Per tutte queste ragioni l’annuncio tanto atteso e pubblicizzato, potrebbe, dopo l’estate, e a mente più fredda, lasciare il posto ad uno schema dagli effetti meno devastanti.

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