Palma di Montechiaro ricorda Danilo Dolci 65 anni dopo un convegno per riscoprire la voce degli ultimi
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Palma di Montechiaro ricorda Danilo Dolci 65 anni dopo un convegno per riscoprire la voce degli ultimi

Palma di Montechiaro appariva un paese dove non era accaduto mai niente di importante, dove si diventava vecchi in niente, dove la luce degli occhi era presto spenta dal tracoma

Palma di Montechiaro ricorda Danilo Dolci 65 anni dopo un convegno per riscoprire la voce degli ultimi
Danilo Dolci
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

26 Aprile 2025 - 14.21


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Palma di Montechiaro appariva un paese dove non era accaduto mai niente di importante, dove si diventava vecchi in niente, dove la luce degli occhi era presto spenta dal tracoma. Uomini, animali e cose aspettavano solo la morte. Le fogne erano a cielo aperto e rigavano le strade in pendenza non asfaltate.

Le donne provavano a tenerle nel mezzo della strada, che non si spingessero fin dentro casa. Case: le famiglie dormivano in un piccolo spazio comune, adulti, una frotta di bambini ed anche i preziosi animali insieme. I catoi, le case a piano terra, erano cucina, camera da pranzo, camera da letto e stalla. Attorno al paese, i campi, con la questione agraria non risolta. Non lontane le miniere che da lì a poco sarebbero state chiuse, dopo aver fatto morti, invalidi, quindi tanta emigrazione.

Un paese senza futuro dal quale chi poteva scappava. Lontana la politica di Roma, difficile il lavoro delle forze sindacali e di sinistra. Lucciole nella notte, gli intellettuali espressi dall’Isola o che l’Isola avevano adottato. Meglio, che dall’Isola si erano fatti adottare, come Danilo Dolci, sociologo e tant’altro. 

Cosa fosse ancora negli anni Sessanta Palma di Montechiaro, paese a pochi chilometri da Agrigento, affacciato sul Mediterraneo, con nel suo ventre testimonianze di una antica nobiltà che la rinviavano al Gattopardo; cosa fosse il paese del Gattopardo lo dice un filmato in bianco e nero – rivisto oggi – che in quegli anni produsse il Partito Socialista. Immagini di case incerte, color della terra arida, e poi immagini di vecchi, seduti ad attendere che venisse il loro tempo, e di bambini. Per i più piccoli – si vede un gelataio – dieci lire per un cono erano un lusso di pochi. I più guardavano soltanto.

A Palma di Montechiaro, 65 anni dopo, martedì prossimo 29 aprile, sarà ricordato con un convegno, un altro memorabile convegno. Un evento che la memoria non ha saputo considerare come avrebbe dovuto. Convegno che coincide anche con i cento anni dalla nascita di Danilo Dolci che di quell’appuntamento fu l’anima.                          Alla vigilia della doppia ricorrenza, Giuseppe Maurizio Piscopo, un “maestro di scuola” – come amava definirsi pure Leonardo Sciascia – ha scritto un libro che nel titolo dice tutto:”Ci hanno nascosto Danilo Dolci”. Libro che Piscopo sta portando tra i più giovani, nelle scuole, per fare riscoprire un pensiero, un’idea, una esperienza politica che non ha trovato le stesse forze democratiche pronte a ricordare e rileggere, per l’oggi.

Martedì pomeriggio ci si ritroverà nella biblioteca comunale. Ci sarà il figlio di Danilo Dolci, in collegamento da Roma ci sarà Vera Pegna, che condivise un tratto del viaggio politico, esistenziale e di testimonianza di Dolci.

In quel 1960 si partì dall’indagine di un parassitologo, Silvio Pampiglione, lo fece su un campione di 600 abitanti. Risultati della ricerca, drammatici: condizioni di vita miserabili, malattie infettive, malnutrizione, alto livello di mortalità infantile, diffuso analfabetismo. Palma appariva l’ultima di tante periferie del Sud. La partecipazione a quel convegno ancora oggi racconta di un grande momento di mobilitazione intellettuale e politica che non si sarebbe mai più ripetuto. Con Danilo Dolci, nomi come quello di Carlo Levi, Leonardo Sciascia, Ignazio Buttitta, Giorgio Napolitano, Paolo Sylos Labini. Tutti uniti dall’idea che non si poteva assistere oltre allo strazio di civiltà e di umanità che si stava consumando in quella e in altre contrade dell’Italia.

Intellettuali e lui, Danilo Dolci, personaggio scomodo che affrontava i grandi temi del tempo, e di quel tempo le ingiustizie, sempre spendendosi in prima persona, anche col corpo, a mani nude, urlando, provocando. Non violento, nella Partinico che aveva scelto come “culla” della rivolta degli ultimi, si mise in testa ai contadini, e con loro si intestò la lotta per le terre, e una battaglia, quella per l’acqua, che a distanza di decenni torna come tema centrale del mancato sviluppo dell’Isola. Il j’accuse, allora come oggi, verso una classe politica quanto meno inadeguata. Messo all’indice, inviso ai potenti, Danilo Dolci per le sue lotte conobbe anche il carcere. Ecco, in queste ore, mentre si medita sull’eredità del passaggio in terra di Papa Francesco, sempre accanto agli ultimi, è utile anche una rilettura di quello che ci volle suggerire Danilo Dolci: la bussola per raggiungere il giusto c’è.Onofrio Dispenza

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