Nel ricordo di Caraglio, l’ultimo eccidio fascista 
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Nel ricordo di Caraglio, l’ultimo eccidio fascista 

Il 26 aprile del 1945 i repubblichini spararono colpi di mortaio contro il borgo del Cuneese, sedici civili persero la vita

Nel ricordo di Caraglio, l’ultimo eccidio fascista 
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

26 Aprile 2025 - 20.32


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Nel festeggiare il 25 aprile, la liberazione dell’Italia dall’orrore nazifascista, ci si dimentica talvolta della fattualità di quei tragici giorni di lotta e di sangue. A distanza di ottant’anni, viviamo nel paradosso di dover difendere con le unghie e i denti gli ideali libertari e umanitari che, con il sacrificio dei resistenti e dei partigiani, permisero l’inizio di un’era di libertà e democrazia, quella che, almeno per ora, ancora viviamo. Siamo costretti a impegnare tempo ed energie nel difendere quegli ideali e quei valori da sconci revisionismi, ipocriti distinguo, infidi attacchi portati da una classe dirigente che insozza una delle rare pagine di storia di cui l’Italia può andar fiera, e così facendo non ravviviamo compiutamente le ulcerose memorie di quei tempi lontani. Oggi vogliamo ricordare uno degli innumerevoli eccidi che sconvolsero l’Italia, e gli innocenti che vi persero la vita.

Caraglio è una cittadina del Cuneese, situata allo sbocco della Valle Grana e sulla strada pre-collinare per Dronero. Come tanti paesi italiani, è un luogo ospitale, dove si può libare in allegria, gustare i vini del territorio e i piatti caratteristici di quella zona del Piemonte, come gli gnocchi di patate conditi con il formaggio Castelmagno DOP, le caratteristiche pere Madernassa, l’aglio coltivato con tecniche tradizionali, presidio Slow Food. Ad esso è dedicata a novembre una manifestazione fieristica e gastronomica, “Aj a Caraj”, mentre a settembre si tiene la Fiera d’Autunno e Sagra degli Gnocchi al Castelmagno.

Storia antica, quella di Caraglio, di arte e artigianato, di guerre e di fede, obliata dalla sterile modernità in cui viviamo. Tra Sei e Settecento vi fiorirono l’agricoltura e l’allevamento del baco da seta, e ancora oggi vi si può ammirare un gioiello architettonico, il Filatoio, tra le più antiche testimonianze di archeologia industriale in Europa. Ha l’aria di una elegante dimora nobiliare, quasi fortificata, con torrette cilindriche angolari e un grande portale sormontato da un balcone, ospita mostre temporanee ed è sede museale. Nel medievale centro storico si ammirano architetture romaniche e gotiche, vi svetta la chiesa parrocchiale della Vergine Assunta con un fonte battesimale quattrocentesco. Altrettanto pregevole è l’antica chiesa di San Giovanni, di impianto gotico, con un ciclo pittorico del Quattrocento; domina dall’alto il paese, a cui si scende per una ripida scala, perdendosi nelle suggestioni di un passato pieno e corposo. Sullo spiazzo antistante, nella primavera del 1974 il regista Romolo Guerrieri girò alcune scene di un film notevole, Uno uomo, una città, con un magistrale confronto tra due indimenticati attori, Enrico Maria Salerno e Luciano Salce. Era un poliziesco atipico, ambientato a Torino, e in una località tra i paesi di Caraglio, Busca e Dronero vennero anche filmate le sequenze di una rapina ad un treno, che si risolve in una strage. Il regista, oggi novantatreenne, è tornato in quei luoghi dopo 51 anni, accolto da un paese in festa, dalla sindaca Paola Falco, dall’assessore alla cultura, allo sport e al turismo Silvia Pellegrino, dal fervente custode di memorie Mauro Rosso. Memorie tramandate anche da un gruppo di giovani sensibili all’arte e alla cultura, che tra mille difficoltà portano avanti il cinema-teatro cittadino.

Da una strage filmica ad una storica, il passo è breve. Ventinove anni prima delle riprese di quel film, Caraglio era stato teatro di una sanguinosa battaglia tra repubblichini e partigiani, una delle ultime di quel tremendo conflitto bellico. Nella zona non vi erano truppe tedesche stanziali, né di passaggio. Vi stazionavano invece numerosi e cospicui reparti delle Brigate Nere mobili e soldati della Divisione Monterosa. La battaglia per la liberazione di Caraglio ebbe inizio nel pomeriggio del 25 aprile 1945. Partigiani della brigata G.L. “Valle Grana”, della 20° brigata G.L., e nuclei garibaldini della 104° brigata costrinsero le forze della RSI ad asserragliarsi in un ridotto limitato della cittadina. Schiavi sino alla fine dalla loro follia, i fascisti non si arresero all’inevitabile. Sparavano all’impazzata, contro chiunque, armati di fucili, bombe, mitragliatrici e mortai. Indirizzavano i colpi anche contro il paese, sulla popolazione. Il 26 aprile un proiettile di mortaio esplose in pieno borgo, dov’erano radunati donne e uomini, il cui unico desiderio era mettersi alle spalle un incubo durato vent’anni, un lustro di guerra durissima, di fame di stenti e di morte. Quel “cannoneggiamento volontario”, com’è descritto nell’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, fece un’ecatombe di innocenti: sedici civili, sei uomini e dieci donne. Il colpo di coda di un regime feroce, che aveva marchiato a sangue il suo tempo. Le bande fasciste lasciarono Caraglio alla spicciolata, nel primo mattino del 27 aprile.

A ricordare l’evento, sul luogo dell’eccidio v’è oggi una targa. Ottant’anni dopo, nella tranquilla primavera di questo 2025, è arduo figurarsi le atrocità di quei giorni di fine aprile 1945. Bisogna fare appello all’immaginazione, ad un’acuta empatia. Ma i nomi di quelle vittime innocenti, incisi a imperitura memoria su una targa d’ottone, non sono meri segni grafici. Sono il ricordo di donne e uomini in carne e ossa, persone che amavano, lavoravano e figliavano, dunque vivevano, prima di essere falciati dal furore omicida. Quei nomi sono fatti reali, che nessuna contorsione ideologica, nessun osceno revisionismo potrà mai cancellare. E allora, accogliamoli ancora tra noi, in un “sobrio” ricordo, con un urlo silenzioso lanciato a coloro che ancora s’ostinano a turlupinare l’ingiusto con il giusto, la tirannia con la libertà, la prevaricazione e il sopruso con il rispetto umano e la rettitudine; coloro che ancora, privi di vergogna, provano a seppellire la verità della storia sotto una fetida coltre di menzogne. Questi i nomi dei sedici civili: Teresa Beccaria, 44 anni, casalinga; Maria Costa, 61 anni, casalinga; Giovanni Eandi, 28 anni, negoziante; Rosa Eandi, 35 anni, casalinga; Maria Ferrero, 42 anni, negoziante; Laura Frencia, 31 anni, casalinga; Michele Frencia, 58 anni, trattore; Bartolomeo Fusta, 62 anni, negoziante; Giacomo Lerda, 71 anni, pensionato; Rosa Margaria, 59 anni, casalinga; Emilio Quilico, 36 anni, negoziante; Caterina Rovera, 44 anni, casalinga; Michelina Salomone, 16 anni, filatrice; Margherita Stoppa, 59 anni, erbivendola; Carlo Tealdi, 61 anni, negoziante; Pierina Tealdi, 19 anni, negoziante.

Questi i nomi dei partigiani che persero la vita in quello scontro, il 26 aprile 1945, a guerra ormai finita: Giuseppe Baullari, nato a Lequio Tanaro (Cuneo) il 25/03/1882, residente a Cuneo, negoziante, appartenente alla II Divisione G.L., brigata “Saluzzo”; Giuseppe Ranieri, nato a Dronero (Cuneo) il 22/02/1922, residente a Caraglio, contadino, della II Divisione G.L., brigata “Valle Maira”; Giuseppe Sangregorio, nato ad Avola (Siracusa) il 10/03/1922, residente a Caraglio, muratore, combattente della I Divisione G.L., brigata “Valle Grana”.

Vite perdute, non semplici nomi. Se oggi possiamo liberamente tornare a Caraglio, come lavoratori, turisti o viaggiatori, scambiare liberamente opinioni e godere dell’ospitalità dei caragliesi, come delle genti di qualunque luogo della libera Italia, lo dobbiamo a loro e a quanti compresero che era giunta l’ora di resistere, di essere uomini per vivere da uomini, come avrebbe detto Piero Calamandrei.

“La realtà non può essere ignorata”, ebbe a scrivere lo scrittore inglese Aldous Huxley, “se non ad un prezzo; e più a lungo si persiste nell’ignoranza, più alto e terribile diventa il prezzo da pagare”.

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