Migranti in manette, il cardinale Repole a Meloni e Salvini: "Una ferita all’umanità"

Il cardinale Roberto Repole, arcivescovo di Torino, ha lanciato un duro monito contro le politiche migratorie del governo italiano

Migranti in manette, il cardinale Repole a Meloni e Salvini: "Una ferita all’umanità"
Il cardinale Roberto Repole, arcivescovo di Torino
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13 Aprile 2025 - 19.05


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“Quando vedi migranti condotti via con le manette, hai la sensazione che c’è un pezzo di umanità che viene ferito profondamente. Non possiamo rassegnarci a questo”. Con queste parole, pronunciate nella Domenica delle Palme durante un’intervista alla Tgr Piemonte della Rai, il cardinale Roberto Repole, arcivescovo di Torino, ha lanciato un duro monito contro le politiche migratorie del governo italiano, puntando il dito sul caso del centro di Gjader, in Albania, e sulla gestione dei migranti in Italia. “Ci sarà un giudizio di coloro che verranno dopo di noi e, per i credenti, c’è anche il giudizio del Signore”, ha aggiunto, sottolineando la gravità morale di un sistema che sembra sacrificare la dignità umana.

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Il riferimento al centro di Gjader si inserisce nel contesto dell’accordo Italia-Albania, fortemente voluto dal governo di Giorgia Meloni e sostenuto con entusiasmo da Matteo Salvini, leader della Lega. L’intesa, siglata nel 2023, prevede la creazione di due strutture in territorio albanese per trattenere fino a 3.000 migranti al mese, con l’obiettivo di accelerare le procedure di asilo e rimpatrio. Ma il progetto, fin dall’inizio, è stato travolto dalle critiche: tribunali italiani hanno bloccato trasferimenti, denunciando violazioni del diritto internazionale, mentre le condizioni nei centri, come quello di Gjader, sono state definite da molti inaccettabili, con immagini di migranti trattati come prigionieri che hanno scosso l’opinione pubblica.

Repole non ha risparmiato un commento sulla recente riapertura del CPR di Torino, esprimendo una cauta speranza che sia “vissuto in termini umani”, ma il suo messaggio è chiaro: il trattamento dei migranti, spesso ridotto a un problema di ordine pubblico, rappresenta una deriva che tradisce i valori fondamentali di solidarietà e accoglienza. Le sue parole risuonano come un richiamo a non normalizzare un sistema che, dietro la retorica della sicurezza, rischia di alimentare intolleranza e pregiudizi.

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Meloni e Salvini, una strategia che guarda a Trump

Le politiche migratorie di Meloni e Salvini sembrano ispirarsi a un modello che richiama quello di Donald Trump, capace negli Stati Uniti di cavalcare le paure di una parte dell’elettorato con slogan e misure anti-immigrazione. L’accordo con l’Albania, i CPR, la criminalizzazione dei migranti: tutto sembra rispondere a una logica che strizza l’occhio a chi vede nello straniero una minaccia, alimentando una narrazione che, per molti, puzza di razzismo mascherato da pragmatismo. Come Trump, che ha fatto del muro al confine una bandiera politica, Meloni e Salvini puntano su misure spettacolari per mostrare fermezza, a scapito di soluzioni umane e sostenibili.

Il cristianesimo non sta con chi divide

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In questo scenario, la voce di Repole rappresenta un grido di allarme per chi crede che il cristianesimo non possa essere piegato a logiche di esclusione. Accogliere lo straniero, ricorda la tradizione evangelica, è un dovere non negoziabile. Le immagini di migranti in manette non sono solo un errore politico, ma una ferita al cuore di una fede che chiama all’incontro e alla compassione. Per un’Italia che si dice cristiana, il monito dell’arcivescovo è un invito a ripensare le priorità, scegliendo l’umanità contro la tentazione di un consenso costruito sulla paura dell’altro.

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