di Dario Spagnuolo
Il 15 marzo l’omicidio di Emanuele Durante, di soli 20 anni, è stato l’ennesimo episodio che conferma come vivere a Napoli, se sei un bambino o un adolescente, è un rischio. Il numero delle vittime giovani e giovanissime è un elenco spaventoso. Ci sono le vittime casuali, come Annalisa Durante, uccisa dai proiettili destinati al boss Salvatore Giuliano a soli 14 anni, e Luigi Cangiano, morto per essere finito in uno scontro a fuoco tra polizia e criminalità. Ci sono i ragazzi irretiti dalla camorra, come Luigi Caiafa, di diciassette anni, ucciso mentre cercava di compiere una rapina. Ci sono, spesso meno noti, i bambini che muoiono uccisi da chi dovrebbe proteggerli, come Giuseppe Dorice, ucciso dalle botte del patrigno a soli 7 anni.
La morte di Emanuele Durante sembra rappresentare pienamente questa condizione di sofferenza. Figlio di una famiglia povera del centro storico, con i genitori separati, Emanuele aveva incontrato molte difficoltà negli studi, finendo con abbandonarli. Era divenuto obeso ma poi si era curato riuscendo a stare meglio. Voleva diventare pizzaiolo, frequentando uno di quei corsi che spesso promettono un lavoro e raramente mantengono le promesse.
Era parente di Annalisa Durante e viveva poco lontano da Emanuele Tufano, anche lui ucciso a soli 15 anni durante un raid di adolescenti del Rione Sanità contro i rivali di Piazza Mercato.
La morte violenta fotografa solo un momento della vita di Emanuele Durante, così nei commenti sulle testate online si trova chi insinua che fosse un poco di buono, che è sufficiente vederne la foto per capire a quale fine era destinato.
Invece, la storia di Emanuele racconta molto di più.
Alessandro, uno dei responsabili della Comunità di Sant’Egidio a Napoli, mi ha mostrato un filmato. Risale all’estate del 2012, tredici anni fa. Sono immagini di una delle tante colonie estive che Sant’Egidio organizza per i bambini dei quartieri poveri di Napoli, quelli che talvolta, anche essendo al centro, accolgono un’umanità periferica.
Si sente la voce di un intervistatore che, per gioco, chiede ad un bambino: Com’è la colonia?
Il bambino è paffuto, con i capelli a spazzola, gli incisivi storti e distanziati, gli occhi azzurri chiarissimi. Indossa una maglietta gualcita. Sotto di lui una didascalia recita: Emanuele, 6 anni. E’ Emanuele Durante.
Mentre si dondola su un’altalena cigolante Emanuele dice: la colonia è bella, e poi c’è tanto spazio.
Lo ripetono anche molti altri bambini napoletani intervistati. A Napoli spazio per i bambini non ce n’è. Tanti vivono nei bassi o in appartamenti minuscoli, senza avere una cameretta fosse anche condivisa. Talvolta non c’è nemmeno un tavolo, lo si monta solo in occasione della cena perché poi anche quello spazio torna ad essere occupato da un letto. Così, per questi bambini non c’è un posto dove studiare. Bisognerebbe restare a scuola, ma il tempo prolungato oggi è offerto solo al 22,4% di classi della scuola primaria. Nell’a.s. 2011/12, cioè il primo anno di scuola di Emanuele Durante, in provincia di Napoli erano a tempo pieno solo il 2,4% delle classi.
In colonia c’è lo spazio che i bambini a Napoli non hanno per giocare. I vicoli, i palazzi ammassati l’uno sull’altro lasciano a stento passare la luce. Potrebbero forse frequentare una palestra, ma a Napoli anche gli atleti olimpionici fanno fatica a tenere aperte le palestre per i ragazzini. Don Antonio Loffredo, nel Rione Sanità, ha dovuto utilizzare i locali parrocchiali per ospitare gli istruttori volontari delle Fiamme Gialle.
Ci dovrebbero essere le palestre scolastiche, ma solo un quarto delle scuole cittadine ne ha una agibile. E poi se manca il tempo prolungato manca il personale per tenerle aperte.
L’intervista continua, ora a rivolgere la domanda è un bambino. Cosa ti è piaciuto di più della colonia? Gli amici e gli insegnanti, risponde Emanuele. In una città violenta, Emanuele apprezza che ci siano persone affettuose, amichevoli, che si prendono cura di lui.
Lo stesso bambino che ha problemi di apprendimento, apprezza che ci siano degli insegnanti. Torna alla mente la profezia di Gesualdo Bufalino: “La mafia sarà sconfitta da un esercito di maestre elementari”. Forse è per questo che, anno dopo anno, il personale alle scuole napoletane viene tagliato. Accade con i dimensionamenti, con la mancata attivazione del tempo pieno, con l’assenza di asili nido e scuole dell’infanzia.
Poi, l’intervistatore rivolge una domanda forse ingenua: Cosa faresti se avessi una bacchetta magica? Emanuele guarda un po’ in giro e poi dice: I cattivi li trasformerei in buoni!
E’ la consapevolezza di essere minacciato da un contesto in cui troppa violenza si scarica sui piccoli, ma è anche un atto di accusa a chi fa troppo poco perché questo desiderio di Emanuele si realizzi.
Dopo questo breve video Alessandro spiega che, nelle Scuole della Pace, bambini diversi – italiani, stranieri, rom, figli di famiglie in guerra – imparano a stare insieme e ad aiutarsi reciprocamente. Racconta di come Emanuele sia andato a trovare gli anziani, soli negli istituti, e fosse sempre molto affettuoso con loro.
Tredici anni dopo la vita di quel bambino è stata troncata da un colpo di pistola. Quella di Emanuele Durante è stata una vita difficile, eppure non è mancata la speranza che potesse essere diversa. Una speranza coltivata da bambino, di vivere in un mondo di persone buone, che avessero a cuore la vita dei minori. In colonia, per qualche giorno, questo sogno si era realizzato. Poi, tornato a Napoli, è stato divorato da una città troppo cinica per prendersi veramente a cuore la sorte dei bambini.
La parabola della vita di Emanuele Durante mostra quanto siano amari i risultati delle scelte mancate, della disattenzione, del rinviare. Quanto si sia ciechi dinanzi al malessere di migliaia di bambini.
Al convegno “Mind the children” della Fondazione Pol.I.S. politiche integrate di sicurezza, il padre di Annalisa Durante ha detto: “Non voglio che sia l’associazione delle vittime innocenti, ma che sia un’associazione per far rivivere Annalisa e tutti i ragazzini come lei!”
Un modo semplice per dire che Annalisa, Emanuele e tutti gli altri possono ancora rivivere nelle storie di tanti altri bambini napoletani.
Una palestra, un insegnante, una scuola, una colonia possono ancora salvare delle vite.