Quando ad essere un crimine è il carcere

L'epilogo della storia di Mimmo si scrive un lunedì sera, l'indomani è una notiziola nelle cronache locali. Amen.

Quando ad essere un crimine è il carcere
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

8 Marzo 2025 - 17.43


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Se devo scegliere un titolo di quanto qui brevemente racconto, quello giusto è “Quando ad essere un crimine è il carcere”.

L’epilogo della storia di Mimmo si scrive un lunedì sera, l’indomani è una notiziola nelle cronache locali. Amen.

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Tutto finisce sul lungomare di Isola delle Femmine, in uno di quei giorni che da queste parti sanno tanto di primavera, e che finiscono con un tramonto così bello da darci – muto – il senso pieno del bello della vita.

Qui è la costa del palermitano dove il sole ti saluta e ti dà appuntamento a domani. Mimmo lo fa tutto quel lungomare, a cavallo della sua moto. Guarda l’ultimo sole, in fondo, mentre il mare, al suo fianco, arriva a profumare già d’estate.

Laggiù, alla fine, c’è un muretto, e Mimmo ci va a sbattere senza possibilità di un domani. Decide lui.

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Mimmo abitava nella vicina Carini, un paese che è una terrazza su giardini e sul mare. Ci viveva con la sua compagna e con la figlioletta.

Poco più che quarantenne, con pesanti errori nel passato, ad Isola Mimmo lavorava in uno street food. Era ai domiciliari, aveva il permesso di uscire per lavorare, ce la faceva a tirare avanti, la sua preoccupazione in più era la piccola.

Mimmo sapeva che doveva tutto alla sua Valentina e a quella figliola, gli avevano cambiato la vita, lo avevano fatto rinascere, gli avevano dato una lettura diversa del vivere, fatto recuperare priorità sconosciute.

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“Il mio desiderio più grande, riuscire a mantenere la promessa di non separarci mai.” Aveva scritto la sua Valentina, qualche tempo fa, su Facebook.

Promessa d’amore al suo Mimmo, cambiato dall’amore e dalla nascita della piccola.

“Lottare contro tutto” – scriveva Valentina – “felici qualunque cosa dicano gli altri della nostra relazione, fare tutte quelle avventure che pianifichiamo insieme, per poi raccontarle ai nostri figli e nipoti.”

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Parole che rinviano a difficoltà non dette, difese dal pudore; difficoltà e cattiverie, perché quelle non mancano mai quando sono da riversare sui deboli.

Mimmo quelle parole le aveva lette come fosse per lui un’epifania, probabilmente aveva ricambiato con un bacio, con un abbraccio forte che aveva saputo dire parole che stentano ad uscire dalla bocca di chi sente la colpa di aver ipotecato la vita degli altri, di chi ha avuto il coraggio di amarlo, contro tutto e tutti.

Forse era a quelle parole che Mimmo pensava sulla sua moto in un’ora che era trasgressione rispetto a quei “domiciliari” che gli avrebbero imposto di essere già a casa.

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Gli aveva scritto Valentina: “Voglio trascorrere tutta la mia vita accanto a te, fino a quando me lo permetterai, perché un vero amore è realizzare insieme, sostenersi.”

Tutta la vita, insieme, separarsi mai, Valentina, la piccola, i giorni a venire.

Foto in rapida successione, bruciate tutte dall’appuntamento col carcere, inesorabile, giustizia senza cuore e senza ragione, che gli imponeva di tornare dentro, di scontare una lunga condanna per quegli errori oggi così lontani dal Mimmo di ieri.

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Poco valeva che avesse messo la testa a posto. Mimmo, ormai “rigava dritto”, dicono gli amici, pensava solo alla sua Valentina e al miracolo di quella piccola vita che aveva fatto gioiosa irruzione nella loro vita.

Quando ad essere un crimine è il carcere.

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