“Mi piace l’odore del napalm al mattino”. Prendendo a prestito la frase del tenente colonnello William “Bill” Kilgore in “Apocalypse Now”, andando a Lampedusa, il ministro Salvini, fresco di assoluzione, potrebbe affacciarsi sul Mediterraneo e respirare a pieni polmoni un altro odore. Io che sono di una città che su quel mare si affaccia quell’odore riesco a coglierlo tutti i santi giorni, non col naso, con l’anima. I numeri della morte nel Mare Nostrum ormai sono agghiaccianti, senza contare che dietro quelli ufficiali ce ne sono altri, di dimensione spaventosa.
Gela il sangue nelle vene solo a ricordarli, a ricordare che all’interno di quei numeri ce n’è uno insopportabile, quello dei bambini. Un giorno ce li ricorderà la Storia, poi il Padreterno. Penso che l’una e l’altro ci inchioderanno tutti al muro, perché di questo squarcio nel tessuto dell’umanità tutti abbiamo un pò di colpa. Anche solo per aver permesso che al potere ci arrivassero uomini che al diritto alla vita e alla sopravvivenza sostituissero cinicamente il più basso interesse di parte.
Dicevo di Lampedusa. Erano passati pochi minuti dalla sentenza di Palermo, che sostanzialmente diceva che trattenere 147 migranti a bordo di una nave per 19 giorni non è sequestro di persona, quando dall’isola delle Pelagie “da tutti gli elettori estimatori di Matteo Salvini” in festa partiva l’invito al ministro: “Venga a Lampedusa per festeggiare insieme questa assoluzione che ci ha visti per tutto questo tempo seriamente amareggiati e preoccupati!”.
L’invito sui social, vergato da chi si era fatto avanti a nome di tutti gli estimatori del leader leghista, prosegue così: “Vorrò vederlo al più presto per abbracciarlo e per dimostrargli la mia vicinanza e quella dei tanti lampedusani che lo apprezzano”. Chi rivolge l’invito a Salvini racconta di un processo seguito nell’isola “con il fiato sospeso”, sospeso come quello dello stesso ministro che ha raccontato, appunto, di quanto erano stati duri quei “trenta secondi col fiato sospeso” che avevano preceduto la parola “Assolve!”.
Ora, al di là delle sentenze (questa, quanto meno, smentisce il leitmotiv meloniano e salviniano delle “toghe rosse”) c’è qui una questione di decoro, di garbo, e di rispetto umano. Andare a Lampedusa per far festa sarebbe una agghiacciante cafonata. Probabile, quindi, che ci sarà. E se ci sarà, perché non proporne una seconda: festa anche a Cutro, dove si spiaggiarono decine e decine di migranti senza vita, trentaquattro erano bambini. La speranza è che quella strage ora non la si faccia passare per un suicidio di massa