Assolto dall'accusa di violenza sessuale: il no arrivò solo dopo 20 secondi

La Corte d'Appello di Milano ha pubblicato le motivazioni della sentenza di giugno, che ha confermato l'assoluzione di un ex sindacalista dall'accusa di violenza sessuale nei confronti di una hostess.

Assolto dall'accusa di violenza sessuale: il no arrivò solo dopo 20 secondi
Giustizia
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17 Settembre 2024 - 15.04


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La Corte d’Appello di Milano ha pubblicato le motivazioni della sentenza di giugno, che ha confermato l’assoluzione di un ex sindacalista dall’accusa di violenza sessuale nei confronti di una hostess.

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Secondo il tribunale, il fatto che la donna abbia espresso un “no” dopo circa venti secondi è stato ritenuto un lasso di tempo troppo lungo per poter condannare l’uomo. Dalle carte processuali emerge che “l’imputato non ha utilizzato alcuna forma di violenza, sebbene si sia trattato di toccamenti improvvisi”, tali da non impedire alla vittima di reagire o allontanarsi. La condotta, durata tra i “20 e i 30 secondi”, non è stata considerata tale da rendere impossibile una reazione da parte della donna.

L’ex sindacalista fu assolto anche in primo grado

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Il 24 giugno scorso, la prima sezione penale della Corte d’Appello milanese aveva confermato l’assoluzione dall’accusa di violenza sessuale per un ex sindacalista in servizio a Malpensa nei confronti di una hostess che a lui si era rivolto, nel 2018, per una vertenza sindacale. Una sentenza che già in primo grado aveva fatto discutere e che anche dopo il verdetto d’appello era stata bollata dall’Associazione Differenza Donna, con l’avvocato Maria Teresa Manente, come un passo “indietro di 30 anni”. La Procura generale di Milano, col sostituto pg Angelo Renna, aveva chiesto in appello di ribaltare il verdetto di primo grado del Tribunale di Busto Arsizio (Varese) del 2022 e di condannare il sindacalista. Ma la sentenza di assoluzione è stata confermata. Ora potrà fare ricorso in Cassazione.

Le motivazioni della sentenza della Corte d’Appello

La Corte nelle cinque pagine di motivazioni, in sostanza, chiarisce che in questo caso mancano i “requisiti” della “violenza, minaccia o abuso di autorità” per configurare il reato di violenza sessuale e che “la qualifica e il ruolo rivestito dall’imputato non comportavano, in concreto, alcuna supremazia” nei confronti della donna. E non può sussistere in questa vicenda, scrivono i giudici, “l’ipotesi di atti sessuali repentini aventi rilevanza penale”, anche perché la stessa parte civile, spiega la Corte, “ha precisato come ‘i toccamenti e i baci (…) siano poi stati protratti per un tempo di circa trenta secondi, in cui ella aveva continuato a sfogliare e a leggere i documenti'”.

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Per i giudici, inoltre, per la donna non c’era alcun “stato di ‘timore’ indotto dalla corporatura massiccia dell’imputato”, avendo “avuto questa Corte agio di constatare che trattasi di individuo di stazza assolutamente normale”. I giudici, tra l’altro, ribadiscono, in un passaggio finale delle motivazioni, “la infondatezza di opzioni ermeneutiche intese ad arricchire il catalogo delle condotte sessualmente violente”.

Difesa ex sindacalista: “Sentenza chiara su assenza di violenza”

“La sentenza della Corte d’Appello è ancora più chiara a proposito della totale insussistenza del reato di violenza sessuale a carico del mio assistito Raffaele Meola”. Lo spiega l’avvocato Ivano Chiesa, che assiste l’ex sindacalista assolto. “I giudici di secondo grado scrivono che non c’è stata violenza, che non c’è stata minaccia, che non c’è stato abuso di autorità – chiarisce il legale – e che non c’è stato nemmeno un atto repentino che avrebbe rilevanza penale perché la persona offesa ha avuto tutto il tempo per manifestare il proprio dissenso”.

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Addirittura, prosegue il legale, “scrivono che la signora avrebbe potuto dileguarsi, cioè in sostanza alzarsi e andarsene. Con ciò mi auguro che la flagellazione mediatica del mio assistito – conclude l’avvocato Chiesa – priva di ogni fondamento, finisca definitivamente”.

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