Migranti: l'Europa persevera nella farsa "Irini"
Top

Migranti: l'Europa persevera nella farsa "Irini"

Visto che siamo in vena di arguzia popolare, condensata in motti latini, per questa triste vicenda vale il detto errare è umano, perseverare è diabolico. Ora siamo all’oltre del diabolico. La missione Irini è il topolino partorito dalla montagna

Migranti: l'Europa persevera nella farsa "Irini"
Preroll

Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

21 Marzo 2023 - 14.33


ATF

La “montagna” europea ha partorito il classico topolino. Il suo nome è “Irini”. 

Visto che siamo in vena di arguzia popolare, condensata in motti latini, per questa triste vicenda vale il detto errare è umano, perseverare è diabolico. Ora siamo all’oltre del diabolico.

Ma dove vivono…

La notizia. Il Consiglio Ue ha prorogato ieri il mandato dell’operazione militare europea nel Mediterraneo – Eunavfor Med Irini – fino al 31 marzo 2025. La decisione è stata presa a seguito della revisione strategica dell’operazione effettuata dal Comitato politico e di sicurezza. In questo contesto, il Consiglio ha deciso che lo smaltimento delle armi e del relativo materiale sequestrato dall’operazione dovrebbe essere ulteriormente facilitato. L’operazione Irini è stata lanciata il 31 marzo 2020 come contributo concreto dell’Unione Europea al processo istituito dalla comunità internazionale per sostenere il ritorno alla pace e alla stabilità in Libia. Il compito principale di Irini è quello di contribuire all’attuazione dell’embargo delle Nazioni Unite sulle armi in Libia, stabilito dalla Risoluzione 1970 (2011) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, attraverso l’uso di mezzi aerei, satellitari e marittimi. In particolare, la missione è incaricata di effettuare ispezioni di navi in alto mare al largo delle coste libiche sospettate di trasportare armi o materiale correlato da e verso la Libia, in violazione dell’embargo sulle armi imposto alla Libia.

Per non dimenticare

Che fosse un buco nell’acqua, una sceneggiata marittima, Globalist lo ha documentato con più articoli, già dal giorno del suo varo. La “farsa Irini”, la missione messa in mare dall’Unione europea con il dichiarato fine di far rispettare l’embargo Onu sulle armi in Libia. Un fallimento annunciato, scrivevamo a commento del nascere della missione, ai primi di aprile, tanto più che i due fronti che combattono la guerra per procura in Libia non mostrano di gradire Irini.

Libia-Europa, fatta la missione, scoperto l’inganno. Premessa d’obbligo: come più volte documentato da Globalist in Libia due cose non mancano: i lager dove sono sequestrati, in condizioni disumane – tra coronavirus, fame, schiavitù – migliaia di migranti, e le armi. Dei primi, l’Europa, impegnata, a ranghi sparsi, ma questa non è una novità, è totalmente disinteressata. Disinteressata e complice dei Gendarmi (vedi Erdogan,) delle sue frontiere esterne. Quanto alle armi che alimentano la guerra per procura in atto da nove anni, siamo alla farsa.

La farsa “Irini” 1

Breve storia in pillole. Dopo settimane di dibattiti e veti la Ue ha raggiunto nei giorni scorsi un’intesa per l’avvio dell’operazione navale Irini (‘ Pace’ in greco), per il controllo dell’embargo Onu sulle armi alla Libia. In sintesi, l’operazione Irini avrà una sola missione: controllare l’applicazione dell’embargo sulle armi dirette alle fazioni in lotta nella guerra civile in Libia. Un cambiamento importante rispetto a Sophia, che aveva come compito principale la lotta ai trafficanti di esseri umani lungo le rotte dei migranti irregolari nel Mediterraneo centrale, e sono come obiettivo accessorio il controllo sull’embargo delle armi. Di conseguenza, le navi di Irini pattuglieranno un’area del Mediterraneo, molto più a Est, che è quella più interessata dal traffico d’armi verso la Libia, mentre c’è una scarsissima presenza di barconi dei migranti irregolari. 

Terzo elemento che distingue la nuova operazione da Sophia è il monitoraggio del cosiddetto “pull factor” (fattore di attrazione) per il flusso migratorio: se, come temevano alcuni Stati membri, si verificherà che effettivamente la presenza di navi militari al largo delle coste nordafricane attira i barconi dei migranti, allora la missione verrà sospesa. Questa sorta di clausola di salvaguardia ha convinto Austria e Ungheria a far cadere la propria opposizione a Irini. 

Leggi anche:  La nave di Emergency sbarca 49 migranti ad Ancona

La quarta modifica, che è servita invece a ottenere l’approvazione dell’Italia (assieme al fatto che il comando sarà a Roma, e il comandante  il controammiraglio Fabio Agostini)  riguarda la destinazione dei migranti eventualmente salvati in mare dai mezzi dell’operazione Irini: invece di prevedere come unico approdo possibile i porti italiani (come accadeva con Sophia), in questo caso sarà la Grecia a mettere a disposizione i suoi porti, a meno che un altro Stato membro non decida volontariamente di effettuare gli sbarchi sul suo territorio. 

E questa viene spacciata per una italica vittoria dall’”ammiraglio” Di Maio e dal commander in chief di Palazzo Chigi, Giuseppe Conte.

In ogni caso, la Grecia otterrà dei rimborsi economici per l’uso dei suoi porti; inoltre, ancora prima dello sbarco dovrà essere stata decisa la ripartizione fra gli altri Stati membri, su base volontaria, dei migranti soccorsi.

Il comando sarà a Roma (il comandante è il contrammiraglio Fabio Agostini) ma eventuali migranti illegali che dovessero essere soccorsi in mare dalle navi europee non saranno sbarcati nei porti italiani. E questa viene esaltata come una italica vittoria dall’”ammiraglio” Di Maio e dal “commander- in-  chief” di Palazzo Chigi, Giuseppe Conte.

Irini dovrebbe prendere il via ad aprile e avrà un mandato di un anno, con verifiche sulla sua operatività ogni quattro mesi. 

Le navi di Irini incroceranno al largo delle coste tra Tripolitania e Cirenaica, a est delle rotte seguite da barconi e gommoni carichi di dei clandestini ma in ogni caso l’accordo in ambito Ue è stato raggiunto solo dopo l’introduzione di una clausola che prevede il ritiro delle navi nel caso la loro presenza attirasse migranti illegali.

E qui sta l’inganno, ben argomentato da Gianandrea Gaiani, direttore di AnalisiDifesa; “Una decisione – spiega – che mina fortemente la deterrenza dell’operazione navale Ue poiché ai contendenti libici basterà mettere in mare qualche barcone o gommone di immigrati illegali per rendere agevole il passaggio di navi cariche di armi in violazione dell’embargo Onu”.

Il tutto mentre la guerra in Libia, non si ferma nonostante “accordi” di cessate-il-fuoco puntualmente violati dai due capi fazione: il premier libico Fayez al-Sarraj  (spalleggiato da Turchia ed Emirati Arabi Uniti) e il suo competitore, l’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar (sostenuto, più o meno ufficialmente, da Egitto, Russia e Francia). 

Per capire l’aria che tira tra i due, ecco al-Sarraj sostenere che mentre tutto il mondo si unisce per far fronte al “nemico comune” coronavirus, il generale Haftar considera il Covid-19 “un alleato” nel suo attacco a Tripoli in corso dall’aprile scorso. “Questa epidemia è il nemico comune di fronte al quale il mondo si unisce, a eccezione dell’aggressore” che vi vede “non un nemico ma un alleato nell’aggressione contro Tripoli”, ha detto Sarraj in un discorso televisivo pronunciato l ieri sera.
“Combattiamo due nemici su due fronti: il coronavirus e le milizie terroriste che ci aggrediscono”, ha detto Sarraj nel discorso rilanciato in video sulla pagina Facebook del Governo di accordo nazionale libico. Nonostante appelli fra gli altri di Onu, Usa, Italia e altre potenze a una tregua umanitaria per far fronte al virus, negli ultimi giorni sono proseguiti con notevole violenza i combattimenti per il controllo di Tripoli e altre aree occidentali della Libia, con scambi di accuse fra le due parti sulla responsabilità delle violazioni.
Nell’allocuzione tv Sarraj ha sottolineato che tutti i settori dello Stato libico sono impegnati contro la pandemia e si è detto “fiducioso” che i libici saranno “capaci di superare la crisi” anche attraverso il rispetto delle misure imposte. La Libia ha registrato il suo primo caso di coronavirus martedì e una Ong internazionale di aiuti umanitari, l’International Rescue Committee, ha avvertito che la pandemia potrebbe “decimare” la popolazione del Paese.In questo scenario tutt’altro che pacificato, “Irini” è un buco nell’acqua da parte europea. L’ennesimo di una lunga serie.

Leggi anche:  La nave di Emergency sbarca 49 migranti ad Ancona

La farsa “Irini”2

Ora è arrivato il crisma ufficiale. E ad “affondare” Irini (pace in greco) è il governo di Tripoli, l’unico riconosciuto internazionalmente. Per Bruxelles è uno smacco, per Roma è uno schiaffo in faccia, visto che il capo, si fa per dire, della diplomazia italiana, Luigi Di Maio, si era venduto mediaticamente la nascita di Irini come un grande successo italiano.  Ma cosi evidentemente non la pensano a Tripoli. Il Governo di accordo nazionale (Gna) ha criticato duramente la missione, e dopo una lettera del presidente Fayez al-Sarraj alle Nazioni Unite, anche il potente ministro dell’Interno Fathi Bishaga si è schierato contro l’operazione dell’Unione europea. Irini dovrebbe far rispettare l’embargo sulle armi in tutta la Libia, ma di fatto le sue navi potranno operare soltanto contro i rifornimenti militari che la Turchia invia a Tripoli via mare. Mentre il traffico di armi e mercenari diretti dagli Emirati in Egitto oppure direttamente nella Libia orientale non può essere intercettato da Irini.

Bishaga ha scritto in un tweet che “nella sua forma attuale Irini ha dei difetti, perché manca dei meccanismi per fermare le spedizioni di armi e mercenari che confluiscono nelle milizie di Haftar via terra e aria, principalmente dagli Emirati Arabi Uniti”. Il presidente Sarraj aveva scritto formalmente al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, criticando anche lui la missione, che d’altronde la Ue ha messo in piedi in risposta alle richieste delle stesse Nazioni Unite. Sarraj sostiene che Irini “non si occupa di controllare lo spazio aereo ed i confini terrestri”, permettendo di fatto l’invio di armi e munizioni a Khalifa Haftar. “Confermiamo che la missione non è stata trattata con il Governo di Accordo Nazionale come previsto dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza”, scriveva la settimana scorsa il premier di Tripoli. Sarraj inoltre critica la missione della Ue perché “trascura il monitoraggio delle frontiere aeree e terrestri orientali della Libia dove, come riportano diversi articoli, viene confermato il flusso di armi ed equipaggiamenti a sostegno di Haftar”.

Bengasi, a sua volta, manifesta il timore che il monitoraggio sia concentrato soprattutto nella zona orientale (per non impattare con le rotte dei migranti) e rappresenti un ostacolo ai normali traffici commerciali anche quelli legati al petrolio. Resta il fatto che la missione è molto carente sul fronte dell’embargo terrestre (per i passaggi da Egitto a Bengasi) e aereo per i frequenti voli dagli Emirati.

Leggi anche:  La nave di Emergency sbarca 49 migranti ad Ancona

Senza futuro

La missione “partirà così come stabilito nello spirito di quanto stabilito alla Conferenza di Berlino dello scorso gennaio”, aveva rimarcato, al momento del “varo”, l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue Josep Borrell, ma resta ancora da capire chi contribuirà come in termini di navi e di aerei da mettere a disposizione della missione sorella di Sophia, che ha chiuso i battenti lo scorso 31 marzo.

Il comando operativo rimane all’Italia, rappresentata dal contrammiraglio Fabio Agostini, mentre il comandante della forza dovrebbe essere un greco, come trapelato in queste settimane. Per quanto riguarda la composizione della forza militare, la Germania ha dato disponibilità per schierare 300 militari e un solo aereo da ricognizione, un Lockheed P-3 Orion. La partecipazione limitata di Berlino era attesa e contribuisce a mantenere aspettative piuttosto basse, per usare un ottimistico eufemismo, sull’efficacia della missione.

 Basti pensare che fino a quando Sophia era ancora dotata di una flotta, i tedeschi avevano sempre dato il proprio contributo fornendo almeno una fregata. Stavolta la Germania si limiterà a osservare il Mediterraneo dall’alto. Tant’è che lo stesso Borrell  ha dovuto lanciare un appello per chiedere uno sforzo maggiore da parte di tutti gli Stati membri: “I Paesi che vogliono la pace in Libia devono sostenere Irini”, ha scritto sul sito di informazione online Bruxelles. E’ noto che molte armi giungono ai contendenti attraverso i confini terrestri o con ponti aerei – soprattutto i rifornimenti destinati all’Esercito nazionale libico (Lna) di Haftar ma anche i mercenari siriani inviati dai turchi a Tripoli –  e pare improbabile che la flotta Ue cerchi lo scontro sul mare con la flotta turca che scorta con le sue fregate le navi mercantili che riforniscono Tripoli di mezzi pesanti e munizioni.

D’altro canto, i Paesi che più supportano militarmente le fazioni in lotta – Russia, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Egitto –  sembrano intenzionati a voler sfidare ancora l’embargo Onu. 

“Nel complesso,– rimarca su starmag.it Lorenzo Marinone – la missione europea dimostra una duplice natura: da un alto, essa rappresenta un’iniziativa troppo timida per ridare voce alla diplomazia, mentre dall’altro risulta eccessivamente irruenta per non provocare uno sbilanciamento decisivo nelle dinamiche del conflitto. Soprattutto, la missione Irini e i suoi possibili effetti non costituiscono in alcun modo una garanzia di recuperare centralità nel dossier libico per le Cancellerie europee. Né per quelle tradizionalmente più favorevoli ad Haftar come Parigi, né per quelle, come Roma, la cui posizione si è evoluta in un appoggio al Gna di Tripoli ‘temperato’ dall’accettazione di un ruolo politico per Haftar nonostante la sua aggressione sulla capitale. Al contrario, una soluzione militare della crisi consegnerebbe una posizione dominante a quelle potenze, come gli Eau, che hanno fornito ai vincitori i mezzi necessari per imporsi, e un ruolo ben più marginale, quasi di ‘passacarte’, a quelle potenze, come i Paesi europei, chiamate soltanto a vidimare a posteriori il nuovo status quo”.

E tra questi “passacarte” c’è l’Italia.

Questi due articoli di Globalist sono del 2020. Tre anni dopo siamo allo stesso punto. Una vergogna europea che si ripete.

Native

Articoli correlati