Covid-19, i pm di Bergamo: "Brusaferro impedì l'attuazione delle norme anti contagio"

Covid-19, la procura di Bergamo accusa e stima “un incremento non inferiore al contagio di 4.148 persone, pari al numero dei decessi in meno che si sarebbero verificati in provincia di Bergamo".

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2 Marzo 2023 - 14.29


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Covid-19, l’inchiesta della procura di Bergamo punta il dito contro la gestione delle primissime fasi della pandemia. Nell’avviso di conclusione indagini dei pm, si legge il resoconto delle presunte responsabilità degli indagati.

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Non avere istituito la ‘zona rossa’ nei comuni della Val Seriana, inclusi Alzano Lombardo e Nembro, “nonostante l’ulteriore incremento del contagio in Regione Lombardia registrato” il 29 febbraio e il 1 marzo 2020 e nonostante «l’avvenuto accertamento delle condizioni che, secondo il cosiddetto ‘piano Covid’, corrispondevano allo scenario più catastrofico” ha causato “la diffusione dell’epidemia da Sars-Cov-19 in Val Seriana, inclusi i comuni di Alzano Lombardo e Nembro”.

La stima è quella di “un incremento non inferiore al contagio di 4.148 persone, pari al numero dei decessi in meno che si sarebbero verificati in provincia di Bergamo, di cui 55 nel comune di Alzano e 108 nel comune di Nembro, rispetto all’eccesso di mortalità registrato in quel periodo, ove fosse stata estesa la zona rossa a partire dal 27 febbraio 2020”.

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Il direttore dell’Iss Silvio Brusaferro, nonostante le raccomandazioni e gli alert lanciati dall’Oms a partire dal 5 gennaio 2020 avrebbe proposto «di non dare attuazione al Piano pandemico, prospettando azioni alternative, così impedendo l’adozione tempestiva delle misure in esso previste». Lo scrivono i pm di Bergamo nell’avviso di chiusura dell’indagine sulla gestione del Covid in cui Brusaferro è indagato per epidemia colposa e rifiuto di atti d’ufficio con, tra gli altri, l’ex ministro della Salute Roberto Speranza, Claudio D’Amario ex dg della prevenzione del ministero, e con Angelo Borrelli, ex capo della Protezione Civile.

 Non avrebbe adottato «le azioni per garantire trattamento e assistenza», tra cui «censire e monitorare i posti letto» di «malattie infettive», «non aggiornandoli mensilmente in violazione di quanto previsto dal Piano Pandemico regionale». È la contestazione di epidemia colposa per l’ex assessore al Welfare lombardo Giulio Gallera, che compare nell’avviso di conclusione indagini dei pm di Bergamo. Gallera è anche accusato di rifiuto d’atti d’ufficio per la mancata attuazione di quel piano regionale.

Lo stesso Gallera non avrebbe verificato «tempestivamente la dotazione di Dpi», tra cui mascherine, tute e guanti, né garantito «l’adeguata formazione del personale sanitario», come previsto anche dal Piano pandemico nazionale, seppur datato al 2006. Condotte che avrebbero, come quelle degli altri indagati per l’epidemia, causato, secondo la Procura, una «diffusione incontrollata» del virus Covid19. Tutte contestazioni, quelle di epidemia colposa ricostruite negli atti, che la Procura fa partire dal 5 gennaio 2020, ossia dal primo allarme lanciato dall’Oms.

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