Migranti, 110 vite umane salvate dai "disobbedienti" del mare: ma il governo li vorrebbe cancellare
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Migranti, 110 vite umane salvate dai "disobbedienti" del mare: ma il governo li vorrebbe cancellare

Centodieci vite umane salvate dall’azione dei “disobbedienti” in mare. Dalle navi delle Ong che non si lasciano intimidire dai diktat governativi e da decreti leggi “disumani” oltre che in contrasto con convenzioni internazionali

Migranti, 110 vite umane salvate dai "disobbedienti" del mare: ma il governo li vorrebbe cancellare
Migranti e Ong
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

7 Gennaio 2023 - 19.05


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Centodieci vite umane salvate dall’azione dei “disobbedienti” in mare. Dalle navi delle Ong che non si lasciano intimidire dai diktat governativi e da decreti leggi “disumani” oltre che in contrasto con convenzioni internazionali, trattati europei e norme del diritto del mare. 

La Ocean Viking ha salvato 37 persone che si trovavano su un gommone sovraffollato in acque internazionali al largo della Libia. I naufraghi recuperati, fa sapere Sos Mediterranee, soffrono di intossicazioni e ustioni da carburante. Le autorità italiane hanno assegnato il porto di Ancona alla Ocean Viking che in mattinata aveva soccorso 37 migranti al largo della Libia. “Ci è stato assegnato Ancona, come porto sicuro per i 37 sopravvissuti a bordo. Il porto dista 1.575 chilometri dall’area operativa, a quattro giorni di navigazione. Le previsioni meteo del tempo atmosferico sono in peggioramento da domenica notte in poi, esponendo i naufraghi a forti venti e a mare mosso e agitato”, lamenta Sos Mediterranee.

Geo Barents, la nave di ricerca e soccorso di Medici senza frontiere, ha soccorso oggi 73 persone, tra cui 16 minori non accompagnati, che viaggiavano su un gommone instabile e sovraffollato.

I sopravvissuti, fa sapere Msf, stanno bene e sono adesso assistiti dall’équipe medica a bordo. “Da una parte siamo sollevati per le 73 persone soccorse, dall’altra – sempre in questo mare – 3 persone ieri hanno perso la vita. Questo è il risultato delle politiche europee”, afferma Fulvia Conte, responsabile dei soccorsi a bordo della Geo Barents.

“In base alle leggi internazionali marittime, l’Italia dovrebbe assegnare il luogo sicuro più vicino alla Geo Barents, mentre per raggiungere Ancona ci vorranno almeno 3,5 giorni e le condizioni meteo sono pessime. Assegnare un porto più vicino avrebbe soprattutto un impatto positivo sulla salute fisica e mentale dei sopravvissuti a bordo.  Chiediamo pertanto al Ministero dell’Interno l’assegnazione di un luogo sicuro più vicino che tenga in considerazione la posizione attuale della Geo Barents”, dichiara Juan Matias Gil, capo missione Medici Senza Frontiere.

In memoria di Sara

Aveva quasi un anno e mezzo e si chiamava Sara, la bambina morta nel giorno dell’Epifania, affogata nel naufragio che ha coinvolto 35 migranti a largo di Lampedusa.

 La piccola era di origine ivoriana e si trovava in viaggio con la madre, a bordo di un barchino lungo appena 7 metri, assieme ad altri in fuga da Camerun, Costa d’Avorio, Guinea, Sierra Leone e Burkina Faso.

Stando a quanto ricostruito, quando i soccorritori sono giunti all’altezza delle coordinate fornite per il salvataggio, il barchino era già affondato. Due pescherecci tunisini erano riusciti a trarre fuori dalle acque alcuni dei migranti e caricato a bordo le salme di un uomo e di una donna, entrambi 38 anni, e della bambina. 

Quattro sono stati ritrovati in gravi condizioni, fra loro anche un neonato che stava per annegare. I soccorritori li hanno portati al poliambulatorio di contrada Grecale. Il piccolo per fortuna ora sta bene. 

La Procura di Agrigento, con l’aggiunto Salvatore Vella, ha aperto un fascicolo d’inchiesta, a carico di ignoti per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e morte quale conseguenza di altro reato. 

I superstiti, fra cui 10 donne verranno ascoltati per ricostruire cosa sia effettivamente accaduto durante la traversata e chi fosse alla guida di quel natante partito da Sfax.

La mamma della bimba deceduta attualmente si trova in stato di shock all’hotspot di contrada Imbriacola. E proprio dal centro di accoglienza lampedusano è stato disposto lo spostamento di quasi 500 migranti.

La struttura, che attualmente ospita 1320 persone, ha da tempo superato il limite di capienza fissato a 390 posti: in 450 lasceranno la struttura con una nave appositamente predisposta che li porterà a Porto Empedocle.

Quel silenzio inquietante

 L’ammiraglio Vittorio Alessandro, ex portavoce nazionale della Guardia costiera, in un’intervista a Radio radicale, stigmatizza la scarsità delle notizie sui soccorsi in mare dei migranti. Rispondendo a una domanda sul perché del silenzio che riguarda l’attività Sar della Guardia costiera, l’ammiraglio dice che è un atteggiamento “offensivo non solo nei riguardi della stampa, ma anche poco attento nei confronti del Comando generale delle capitanerie di porto che ha tentato di normare la comunicazione, quando ha detto che le notizie sui soccorsi devono essere rese immediatamente alla stampa”. “Il silenzio lo considero lesivo del capitale di esperienza che ogni giorno si consuma e che è fatto di trasbordi, di situazioni impreviste, di creatività e tecnica marinara, che non s’improvvisano – ha aggiunto -. Tutto ciò andrebbe raccontato perché fa della missione italiana nel Canale di Sicilia un elemento prezioso nei confronti degli altri paesi europei. L’attività andrebbe rivendicata, non in termini di bottega, ma

in quanto rappresenta una forza dell’Italia. E invece la nascondiamo alla stampa e a noi stessi, tradendo il lavoro di tantissima gente”.

La denuncia-appello delle Ong

Ne scrive Tommaso Coluzzi su Fanpage.it

Nel testo, firmato da Emergency, Iuventa Crew, Mare Liberum, Médecins Sans Frontières (Msf), Mediterranea Saving Humans, Mission Lifeline, Open Arms, r42-sailtraining, ResQ – People Saving People, Resqship, Salvamento Marítimo Humanitario, Sarah-Seenotrettung, Sea Punks, Sea-Eye, Sea-Watch, SOS Humanity, United4Rescue e Watch the Med – Alarm Phone si legge:

“Noi, organizzazioni civili impegnate in attività di ricerca e soccorso (Sar) nel Mediterraneo centrale, esprimiamo la nostra più viva preoccupazione per l’ultimo tentativo di un governo europeo di ostacolare l’assistenza alle persone in difficoltà in mare. Il nuovo decreto legge, firmato dal Presidente italiano il 2 gennaio 2023, ridurrà le capacità di soccorso in mare e renderà ancora più pericoloso il Mediterraneo centrale, una delle rotte migratorie più letali al mondo. Il decreto è apparentemente rivolto alle Ong di soccorso civile, ma il vero prezzo sarà pagato dalle persone che fuggono attraverso il Mediterraneo centrale e si trovano in situazioni di pericolo.

Le Ong ricordano il loro impegno in mare negli ultimi dieci anni:

“Dal 2014, le navi di soccorso civili stanno riempiendo il vuoto che gli Stati europei hanno deliberatamente lasciato con l’interruzione delle proprie operazioni SAR. Le Ong hanno svolto un ruolo essenziale nel colmare questa lacuna e nell’evitare la perdita di altre vite in mare, rispettando sistematicamente le leggi in vigore. Ciononostante, gli Stati membri dell’UE – Italia in testa – hanno tentato per anni di ostacolare le attività di ricerca e soccorso civili attraverso la diffamazione, iniziative amministrative e la criminalizzazione di Ong e attivisti. Nonostante il già vasto quadro giuridico completo per le attività Sar, ovvero la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos) e la Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo (Convenzione Sar), il governo italiano ha introdotto un’altra serie di norme per le imbarcazioni civili Sar, che ostacolano le operazioni di salvataggio e mettono ulteriormente a rischio le persone in pericolo in mare.

Poi le organizzazioni umanitarie entrano nello specifico, criticando apertamente quanto scritto nel decreto e soprattutto quanto previsto dal codice di condotta: Tra le altre regole, il Governo italiano richiede alle navi di soccorso civili di dirigersi immediatamente in Italia dopo ogni salvataggio. Questo provocherebbe ulteriori ritardi nei soccorsi, considerato che le navi di solito effettuano più salvataggi nel corso di diversi giorni. L’ordine alle Ong di procedere immediatamente verso un porto, mentre altre persone sono in difficoltà in mare, contraddice l’obbligo del comandante di prestare assistenza immediata alle persone in difficoltà, come sancito dall’Unclos. Questo elemento del decreto è aggravato dalla recente politica del governo italiano di assegnare più frequentemente “porti lontani”, che distano fino a quattro giorni di navigazione dall’ultima posizione delle navi. Entrambe le disposizioni sono progettate per tenere le navi Sar fuori dall’area di soccorso per periodi prolungati e per ridurre la loro capacità di assistere le persone in difficoltà. Le Ong sono già messe a dura prova dall’assenza di operazioni Sar gestite direttamente dagli Stati e la diminuzione della presenza di navi di soccorso si tradurrà inevitabilmente in un numero ancora più alto di naufragi.

C’è poi un’altra questione, quella relativa ai dati personali che le Ong devono – secondo il nuovo decreto legge – raccogliere a bordo. È un modo, in sostanza, per far sì che la richiesta di protezione internazionale venga effettuata nello Stato di cui la nave umanitaria batte bandiera:

Un’altra questione sollevata dal decreto è l’obbligo di raccogliere a bordo delle navi di soccorso i dati dei sopravvissuti, che esprimono la loro intenzione di chiedere protezione internazionale, e di condividere queste informazioni con le autorità. È dovere degli Stati avviare questo processo e una nave privata non è il luogo adatto per farlo. Come recentemente chiarito dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), le richieste di asilo dovrebbero essere trattate solo sulla terraferma, dopo lo sbarco in un luogo sicuro, e solo una volta soddisfatte le necessità immediate.

Nel complesso il decreto legge italiano “contraddice il diritto marittimo internazionale, i diritti umani e il diritto europeo, e dovrebbe quindi suscitare una forte reazione da parte della Commissione europea, del Parlamento europeo, degli Stati membri e delle istituzioni europee”, concludono le Ong. E chiedono apertamente: “Noi, organizzazioni civili impegnate nelle operazioni Sar nel Mediterraneo centrale, esortiamo il governo italiano a ritirare immediatamente il decreto legge appena emanato. Chiediamo inoltre a tutti i membri del Parlamento italiano di opporsi al decreto, impedendone così la conversione in legge. Non abbiamo bisogno di un altro quadro politico che ostacoli le attività di salvataggio Sar, ma che gli Stati membri dell’UE garantiscano che gli attori civili Sar possano operare, rispettando finalmente le leggi internazionali e marittime esistenti”.

La flotta che non abbandona il mare

Di grande interesse è il report di Giansandro Merli su Il Manifesto del 4 gennaio. Scrive tra l’altro Merli: “Sembrerà strano ma nonostante codici di condotta, campagne diffamatorie, inchieste penali, porti chiusi, sequestri, confische, detenzioni amministrative, quarantene selettive, lunghe attese in mare, divieti di ingresso o transito le imbarcazioni umanitarie continuano ad aumentare.

A oggi se ne contano undici: Geo Barents, Ocean Viking, Sea-Eye 4, Humanity 1, Life Support, Mare Jonio, Aita Mari, Open Arms, Open Arms 1, ResQ, Sea-Watch 3 (detenuta a Reggio Calabria). La dodicesima è attesa in primavera: Sea-Watch 5. Battono le bandiere di cinque paesi: Germania, Spagna, Norvegia, Italia e Panama. Alcune svolgono missioni con regolarità, come la Geo Barents che è l’ammiraglia della flotta civile: lunga 77 metri, larga 20, da maggio 2021 ha salvato 5.751 persone in 20 missioni. Altre fanno capo a realtà più piccole, con minori disponibilità economiche e maggiori ostacoli. Come la Aita Mari, a cui a fine novembre le autorità spagnole hanno imposto di rinviare la partenza perché l’eventuale fermo amministrativo avrebbe avuto conseguenze negative su tutta la flotta commerciale iberica.

La flotta civile è composta anche da unità più piccole: imbarcazioni veloci e velieri. Nella prima categoria rientrano: Louise Michel, Rise Above e Aurora Sar. A cui si dovrebbe aggiungere nei prossimi mesi la Sea Punks 1. Misurano tra 15 e 27 metri e viaggiano intorno ai 20 nodi (più del doppio delle navi grandi, quasi come delle motovedette). Il loro obiettivo è raggiungere le barche in difficoltà prima delle milizie libiche che danno la caccia ai migranti in fuga dal paese nordafricano. Le nuove misure del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi prendono di mira queste imbarcazioni vietando indirettamente i trasbordi delle persone soccorse, una pratica diffusissima ai tempi di Mare Nostrum e realizzata di continuo dalla guardia costiera.

A completare gli assetti marini ci sono tre velieri: Astral, Imara e Nadir. Questi tendono a rimanere più a nord, lungo la rotta che collega la Tunisia a Lampedusa. Il tratto di mare è più breve ma non meno letale. Ad aumentare i rischi i nuovi barchini utilizzati negli ultimi mesi dai trafficanti, soprattutto per i sub-sahariani: hanno lo scafo di ferro e si capovolgono facilmente. I velieri prendono a bordo le persone solo in casi estremi. In genere cercano di “stabilizzare la situazione”, cioè distribuire i giubbotti di salvataggio, chiedere l’intervento delle autorità italiane e attendere che arrivino. A volte seguono i migranti a breve distanza, tenendosi pronti se le cose si complicano.

Il soccorso civile ha anche occhi e orecchie. Gli occhi sono quelli dei tre aerei: Colibrì 2 (di Pilots Volontaires), Seabird 1 e 2 (di Sea-Watch). Pattugliano il mare dall’alto, riescono a vedere lontano. Svolgono un ruolo importante perché l’area attraversata dai migranti è vastissima, le autorità non comunicano e la sorveglianza aerea dei droni di Frontex non condivide informazioni con le ong. Secondo alcuni studi, al contrario, i mezzi dell’agenzia europea indicano la posizione dei barconi soltanto ai libici. Anche i velivoli civili subiscono problemi e ostacoli da parte delle autorità. L’ultimo è toccato a quelli di Sea-Watch: divieto di sorvolare l’area di ricerca e soccorso libica, che ricalca la Flight Information region (Fir) di Tripoli.

Ad ascoltare le voci dei migranti, a rendere pubbliche e amplificare le loro richieste d’aiuto, c’è poi il centralino Alarm Phone. Grazie a una rete transnazionale di attivisti, il progetto garantisce dall’11 ottobre 2014 una presenza fissa dietro la cornetta. 24 ore al giorno, sette giorni a settimana. Le telefonate arrivano dalle diverse rotte migratorie: mar Egeo, Mediterraneo centrale e occidentale (tra Marocco e Spagna). A volte persino dall’Oceano Atlantico o dalle frontiere terrestri. Ap ha assistito in totale circa 5mila barche in difficoltà”.

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