Al Sisi è peggio di Videla ma Conte e Di Maio continuano a balbettare
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Al Sisi è peggio di Videla ma Conte e Di Maio continuano a balbettare

Lo scandalo della Legion d'onore data da Macron al repressore egiziano non può mettere in secondo piano il fatto che su Regeni e Zaki Conte e Di Maio meritano la 'legion del disonore' per i solo silenzi

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

15 Dicembre 2020 - 13.38


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Orgoglio e preoccupazione Sono i sentimenti che prevalgono nel rendere conto dell’andamento della campagna lanciata da Globalist e sostenuta da Amnesty International Italia e Possibile, per la restituzione della Legion d’onore alla Francia dopo che quella onoreficenza  è stata conferita da Macron al presidente-carceriere egiziano Abdel Fattah al-Sisi.

A Corrado Augias, che ha fatto da coraggioso apripista, hanno subito fatto seguito altri “legionari” d’onore: Luciana Castellina, Giovanna Melandri, Sergio Cofferati che in una intervista esclusiva concessa a Globalist ha motivato e argomentato la sua decisione. La campagna cresce in quantità e qualità delle sue adesioni.

Orgoglio e preoccupazione

Tutto ciò è motivo di orgoglio. Quanto alla preoccupazione, essa nasce dai silenzi insopportabili che segnano l’inazione del Governo italiano nella tragica vicenda della morte di Giulio Regeni. Un delitto di Stato. Perché va bene chiamare alle proprie responsabilità l’Europa. E’ ultra bene, e a questo tema Globalist ha dedicato numerosi articoli, denunciare il “fuoco amico” dei fratelli-coltelli francesi. Ma tutto ciò non può neanche per un momento può far velo al fatto che Giulio Regeni era un cittadino italiano, e come tale spetta innanzitutto all’Italia agire nei confronti di un regime, quello di al-Sisi, che sin dal ritrovamento del cadavere brutalizzato del giovane ricercatore friulano, ha sempre, pervicacemente operato per depistare e osteggiare la ricerca di verità e giustizia per Giulio. 

La legione del disonore italiano

Preoccupazione, dunque. E indignazione. “Sono indignato per il comportamento dell’Italia nei confronti dell’Egitto, un paese che geme sotto la spietata dittatura di Al-Sisi . Quell’orribile morte di Giulio Regeni per mano di torturatori egiziani e l’imprigionamento, da quasi un anno, senza ragione se non quella di difendere i diritti umani, di Patrick Zaki, studente dell’Università di Bologna, sono due vicende note al pubblico italiano, che rivelano il vero volto del governo egiziano”.

Padre Alex Zanotelli con l’Adnkronos dà voce alla sua indignazione. Chiede di “fermare i mercanti di morte’”e si unisce a quanto chiedono il ritiro del nostro ambasciatore al Cairo.

“Sotto pretesto della lotta al terrorismo è in atto in Egitto una spaventosa repressione. Ci sono ora ben 60.000 prigionieri politici nelle carceri e dal 2016 al 2019, 2.400 sono stati condannati a morte. Ora – chiede il missionario- come fa un paese come l’Italia, paladina dei diritti umani a vendere armi a un regime come questo di al- Sisi? Mi vergogno a citare queste cifre: nel 2018 abbiamo venduto armi per 69 milioni di euro e nel 2019 siamo balzati a 871 milioni. Nel 2020 abbiamo venduto al Cairo due fregate per il valore di 1.3 miliardi di euro. Ma ora è in atto la trattativa per la vendita di quattro fregate, venti pattugliatori, 24 caccia Euro-fighter e altrettanti addestratori M346 per un valore di circa 10 miliardi di euro! Armi che verranno usate per reprimere il popolo egiziano, ma anche per appoggiare il generale Haftar della Cirenaica (Libia) in lotta contro il governo di al-Sarraj (Tripoli) sostenuto dal Governo italiano e dalla comunità internazionale. Ma allora perché vendiamo armi ad al-Sisi? E’ solo business: noi vendiamo a tutti pur di far soldi”

Osserva Zanotelli: “Non c’è più politica estera, ma la politica degli affari. E tutto questo avviene in violazione della Legge 185 (una delle migliori in Europa) che vieta al governo di vendere armi a paesi dove vengono violati i diritti umani o in guerra. E l’Egitto di al-Sisi è uno degli esempi più noti per violazione dei diritti umani, ma è anche in guerra al fianco del generale Haftar in Libia. E’ mai possibile che questa legge continui ad essere impunemente violata? E’ mai possibile che così tanti giuristi italiani impegnati non riescano a portare in tribunale il nostro governo? Ma per fare questo c’è bisogno di forti campagne popolari”.

Il missionario indica una strada percorribile: “Un modo efficace è certamente coinvolgersi nella campagna Banche Armate (promossa dalle riviste Nigrizia, Mosaico di pace, Missione Oggi e da Pax Christi) che invita i cittadini a ritirare i propri soldi da quelle banche che pagano per la produzione e vendita di armi. E l’altro modo è far sì che l’opinione pubblica si faccia sentire con sempre più forza. Siamo tutti grati ai genitori di Giulio Regeni che continuano, senza stancarsi, a smascherare, la politica del governo Conte. Insieme con loro, dobbiamo tutti chiedere subito il ritiro del nostro ambasciatore al Cairo, ciò che il governo continua a rifiutare. Ma dobbiamo anche dire grazie all’Università di Bologna e ai tanti studenti che richiedono la liberazione di Patrick Zaki,dato che è uno studente di quell’Ateneo. Sempre più cittadini devono coinvolgersi in questa campagna. Non possiamo lasciare la politica estera nel nostro paese nella mani dei ‘mercanti di morte’”.

Basta silenzi

“Il silenzio e l’attesa non sono più accettabili – rimarca in una nota La Rete Italiana Pace e Disarmo – non sono più solo indifferenza, ma diventano perdita di credibilità e di dignità delle istituzioni stesse, segnano l’abbandono dei nostri valori fondanti e la sconfitta dello stato di diritto che protegge e tutela la sicurezza dei propri cittadini. È in gioco il senso profondo del nostro ideale di civiltà e di democrazia.

Non possiamo accettare che si scambino i diritti umani con supposti interessi nazionali, qualunque valore economico o strategico rappresentino, perché se così fosse, sarebbe come consegnare la nostra democrazia nelle mani di chi impone con la violenza, la repressione e l’impunità il proprio potere sulla propria comunità e nelle relazioni tra Stati. 

La nostra storia, le nostre conquiste, la nostra cultura, il nostro impegno per la pace e per la pacifica convivenza tra popoli e nazioni, indicano cosa si deve fare senza indugio alcuno: richiamare il nostro Ambasciatore dall’Egitto, cancellare la vendita di armi, esigere verità e giustizia, portando la denuncia in sede europea ed in sede internazionale. L’Italia chieda anche conto alla Francia della onorificenza concessa pochi giorni al Presidente egiziano, campione di violazione dei diritti umani”.

“L’Italia e l’Europa  – sottolinea la Ripd – debbono dimostrare la loro fermezza democratica per la tutela dei più elementari ed inalienabili diritti umani: il diritto alla vita, il diritto al giusto processo, la libertà di espressione, la condanna della torturaL’Italia e l’Europa lo debbono a Giulio Regeni, agli oltre 1000 morti nelle carceri dal 2013 ad oggi e ai 60.000 prigionieri politici tra i quali, detenuto da 10 mesi senza processo, vi è Patrick Zaki, il giovane egiziano studente all’Università di Bologna”. 

E in piena sintonia con padre Zanotelli, la Rete Italiana Pace e Disarmo sottolinea come “inaccettabili tutte le ipotesi di accordi per vendita di sistemi d’arma, che sono evidentemente contrari ai criteri della legge 185/90 sull’export di armamenti oltre che alla Posizione Comune UE e al Trattato internazionale Att. Non è pensabile continuare a rafforzare un regime autoritario fornendogli i mezzi militari per concretizzare le proprie politiche di espansione, spesso addirittura in contrasto con la politica estera dell’Italia. Il Parlamento egiziano ha già votato la possibilità di un intervento armato in Libia e tutte le norme (nazionali ed internazionali) sul commercio di armi proibiscono all’Italia vendite armate verso Paesi coinvolti in un conflitto.

Chiediamo dunque che venga revocata l’autorizzazione già rilasciata per la vendita di due fregate militari (con un’operazione addirittura economicamente in perdita, quindi con uno spregio dei diritti nemmeno “giustificabile” dal punto di vista industriale) e che vengano accantonate tutte le ipotesi di futuri contratti militari. Sottolineiamo inoltre il pericolo di una ulteriore beffa (oltre al danno): secondo un recente articolo di stampa è infatti lo Stato italiano (tramite il Tesoro e la Sace) ad essersi accollato la garanzia sui prestiti erogati all’Egitto per completare l’acquisto delle due navi militari italiane. Una garanzia addirittura ‘estesa’ rispetto al limite consentito e che potrebbe risultare in un esborso di denaro pubblico nel caso che il regime di al-Sisi (come fatto recentemente nei confronti della Francia, secondo diverse notizie degli ultimi mesi) non onorasse il proprio debito. Davvero vogliamo pagare di tasca nostra la vendita di armi ad uno Stato autoritario che nega diritti e libertà ai propri cittadini e non rispetta le richieste di giustizia per Giulio Regeni e Patrick Zaki?

Rilanciamo dunque la nostra iniziativaStop Armi Egitto’ (promossa nei mesi scorsi insieme ad Amnesty International Italia) e insieme alla Campagna di pressione alle “banche armate” continuiamo a chiedere alla Sace, ad Intesa Sanpaolo e a tutti gli Istituti di credito di manifestare pubblicamente il proprio diniego a concedere prestiti e servizi finanziari per la vendita di sistemi militari all’Egitto. Continuare un sostegno di questo tipo rappresenterebbe infatti non solo un esplicito sostegno al regime repressivo di al-Sisi e alla sua politica di destabilizzazione in Libia, ma uno schiaffo alla popolazione egiziana che manca di cure sanitarie e per oltre due terzi vive in povertà”.

Peggio di Videla e Pinochet

Dal suo insediamento dopo il golpe nei confronti dell’ex leader dei Fratelli musulmani,  Mohamed Morsi, nella primavera del 2013, all’ottobre scorso ben 1.058 persone sono morte all’interno dei centri di detenzione egiziani. Nei primi dieci mesi dell’anno in corso sono stati già 100 i soggetti detenuti o in attesa di giudizio morti in circostanze ricollegabili a precise responsabilità degli apparati statali: cure negate, torture, suicidi, pessime condizioni di detenzione. In un report di 53 pagine presentato nei giorni scorsi a Ginevra, il Cfj, Committee for Justice, inchioda alle proprie responsabilità l’apparato repressivo degno di un tentacolare stato di polizia.

Il nome scelto dai vertici della ong internazionale per la campagna di accusa contro il regime del Cairo si lega all’attualità e soprattutto all’Italia: ‘I Giulio Regeni d’Egitto dal 2013’. Questo per allargare lo sguardo sulla cruda realtà in cui versa uno dei partner commerciali più graditi dal nostro governo sotto il profilo dei diritti umani: “Giulio Regeni non è stata l’unica vittima delle autorità egiziane. Dopo il suo omicidio ne sono accaduti altri nei confronti di stranieri, penso al francese Eric Lange, l’americano James Henry Lawne e altri, uccisi a sangue freddo e senza alcuna conseguenza penale nei confronti dei loro torturatori e assassini. Si tratta di pochi casi rispetto alla moltitudine dei nostri connazionali fatti fuori dal regime in quanto considerati scomodi. Ciò che sta accadendo in Egitto da alcuni anni a questa parte è ammantato da un silenzio internazionale sospetto”. La denuncia arriva dal direttore esecutivo di Cfj, Ahmed Mefreh, che ha presentato il resoconto dettagliato del report.

La sezione più agghiacciante del quale, scrive Pierfrancesco Curzi su Ilfattoquotidiano.it, è quella relativa all’analisi sulle cause di morte di sospetti, arrestati e detenuti. Partiamo dal dato originale, le 85 vittime da giugno a dicembre del 2013: secondo il documento del Cfj il 57% dei decessi è da attribuire a brutali torture e un altro 36% alla negazione delle cure sanitarie. Una voce preponderante nell’arco del settennato sotto esame, con 761 cause di morte sulle 1.058 complessive. 

Questo documento è consultabile da chiunque. Anche da chi sta alla Farnesina o a Palazzo Chigi.

Intanto, Globalist assegna le prime “legioni del disonore” italiane: Conte e Di Maio. Le altre nomination le scelgano i nostri lettori. C’è solo l’imbarazzo della scelta.

 

 

 

 

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