In queste ore segnate dall’orrore dell’azione terrorista in Francia c’è una domanda che mi sembra importante porsi: perché quel ragazzo è andato a fare strage in una chiesa? C’era stata forse qualche dichiarazione dal mondo ecclesiastico in favore delle famose “vignette”? O forse quello era il modo per dare alla sua azione assassina il più forte detonatore possibile e proprio nella direzione da lui e dai suoi cattivi maestri auspicata? Lui e loro con queste azioni vogliono conquistare l’islam anche in virtù di reazioni sbagliate. Come non ritenere che il loro progetto sia quello di dire: “i cristiani vengono a uccidere i musulmani, noi vendichiamo le nostre vittime dall’Afghanistan al Mali: noi siamo l’islam, loro sono i nuovi crociati.”
I bombardieri di Putin o di Trump per loro sarebbero i bombardieri di Gesù.
Se questo è il loro disegno ogni risposta che cancella le tantissime vittime musulmane di questi assassini, a cominciare dallo Yemen, è di aiuto. Ma è questo il loro disegno? Un libro importantissimo lo conferma.
Lo ha scritto Majid Nawaz e si intitola “Radical”. Negli anni Novanta Majid Nawaz era un giovane “bangla”, cioè originario del Bangladesh, che in Inghilterra prese a far parte di gruppi di autodifesa degli immigrati dal Bangladesh. Si riteneva un giovane britannico, laico, andava in birreria, poi partecipava a gruppi di autodifesa dalle azioni di gruppi estremisti anti migranti che picchiavano i “bangla” all’uscita dai pub.
Venne in contatto con un gruppo di estremisti per il ritorno al Califfato che gli dissero: non ti picchiano perché sei originario del Bangladesh, ma perché sei musulmano. Non gli interessa che non lo sei, che non preghi, per loro sei musulmano. Non ci credi? Guarda cosa succede ai musulmani di Bosnia. Sono bianchi, vestono all’occidentale, non vanno in moschea, ma li massacrano perché sono musulmani. Pian piano Majid Nawaz divenne un estremista. Andò a promuovere la causa del ritorno al Califfato nel mondo e finì in galera in Egitto, dove fu torturato, dimenticato da tutti, tranne che da Amnesty International, alla quale ha dedicato il suo gruppo per la deradicalizzazione.
Questo meccanismo molto semplice, primario, aiuta gli opposti estremismi, che sembrano proprio convergere nel disegno: gli Occidentali sono tutti “cristiani” che sono tutti “crociati”, gli Orientali sono tutti “musulmani” che sono tutti “tagliagole”. Dobbiamo combattere, i primi o i secondi.
In mezzo a questo processo di estremizzazione la “guerra al terrorismo” ha distrutto la politica nei paesi a maggioranza islamica. Egitto, Algeria, Siria, Yemen, Iraq, Iran, Arabia Saudita: dov’è la politica? Ci sono solo dittature terroristiche che si giustificano con la lotta al terrorismo ma in realtà eliminano ogni giorno di più il diritto a pensare, rendendo ogni dissidente un terrorista. E due leader che guidano due Paesi prossimi alla bancarotta come Erdogan e Khamanei possono sperare di far dimenticare a tutti i disastri che hanno combinato proprio dicendo come gli indottrinatori dissero a Majid Nawaz: “l’Occidente odia i musulmani, sono i nuovi crociati.” Erdogan punta a intitolarsi nelle macerie economiche della Turchia la rabbia islamo-sunnita, Khamanei punta a intitolarsi nelle macerie economiche dell’Iran la rabbia islamo-sciita. Non credo vadano aiutati. Turchi e iraniani sanno benissimo quanti dolori questi despoti gli hanno causato.
La popolazione musulmana immigrata in Europa risulta parimenti indispettita dalla condotta del presidente turco, visto che gli sciiti sono molto meno presenti il peso qui della linea di Khamanei è meno rilevante.
E allora? Allora bisogna rendersi conto che contro la convergenza tra gli opposti estremismi c’è una sola posizione logica, razionale, non strumentale, come sempre è la logica e la razionalità: questa posizione è espressa e indirizzata a cristiani, musulmani, ebrei, agnostici, non credenti da Papa Francesco. Lui non finge di sapere che l’Islam è conquista, lui non finge di sapere che il cristianesimo è crociate, lui non finge di sapere che i non credenti sono dannati per sempre, lui parla alla “pancia ragionevole dell’umanità”. Le religioni e le culture sono soprattutto espressione di una consapevolezza popolare basata sul meccanismo che, è scientificamente comprovato, regola le funzioni celebrali: l’empatia. Ha scritto OggiScienza nel 2017: L’empatia è la capacità di immedesimarci nel nostro prossimo, di metterci nei suoi panni e comprenderne lo stato psicologico. In varie sfumature ne siamo in grado noi, gli scimpanzé, i cani e una lista di specie che potrebbe allungarsi a dismisura se ci mettessimo a testarle una per una. Ma cosa succede nel cervello umano quando vediamo un’altra persona che soffre ed empatizziamo? Una reazione così intima e all’apparenza personale lo è davvero o, scansionando un cervello dopo l’altro, troveremmo un percorso comune? Secondo uno studio appena pubblicato sulla rivista Neuron i percorsi cerebrali associati alla compassione, alla gioia o al dolore che proviamo con l’empatia sono prevedibili e consistenti di persona in persona.
Secondo Yoni Ashar, primo autore dello studio e laureando nel laboratorio di neuroscienze di Tor Wager alla University of Colorado, Boulder, “I sentimenti di empatia sono virtù che vogliamo coltivare, sia a livello personale che nella società. Comprendere queste emozioni potrebbe aprire la strada a maggiore empatia e compassione nelle relazioni personali e su un livello più ampio di società”. In passato altri studi hanno cercato di compilare una mappa dell’empatia nel cervello, servendosi di immagini statiche che venivano proiettate su uno schermo. Ashar e i colleghi hanno scelto di usare un approccio che definiscono più “naturale”, in modo da creare una situazione meno artificiale e più simile a qualcosa che davvero potrebbe accadere a chiunque di noi, in un giorno qualunque. Così hanno reclutato 66 partecipanti adulti e li hanno messi in uno scanner per la risonanza magnetica funzionale, dove avrebbero ascoltato 24 storie brevi (tutte vere) accadute ad altre persone che avevano sofferto. Ma non mancavano i lieti fine: una delle storie, ad esempio, riguardava un giovane ex-tossicodipendente che trovava aiuto in un collegio scolastico e, una volta sentitosi meglio, iniziava a sua volta ad aiutare altri ragazzi a lasciarsi alle spalle la dipendenza. Mentre i partecipanti ascoltavano le storie, l’attività del loro cervello veniva registrata. Terminata questa parte dell’esperimento, usciti dal macchinario dovevano sentirle una seconda volta e valutare i loro sentimenti durante la narrazione.
Dati alla mano, Ashar e gli altri ricercatori hanno combinato sentimenti e risonanza magnetica. Così hanno scoperto che l’attività del cervello associata all’empatia non è legata a una parte del cervello, come tendenzialmente viene processato un input sensoriale, ma diffusa attraverso tutto l’organo coinvolgendo diverse regioni. “Il cervello non è un sistema modulare nel quale una regione specifica gestisce l’empatia”, spiega Wager in un comunicato. “È un processo distribuito”.”
Questo fondamento scientifico dimostra come funziona il cervello umano e conferma quanto Francesco afferma nell’enciclica “Fratelli tutti”: “siamo tutti della stessa carne”. Nessun credo religioso o non religioso può andare contro questa regola, a livello popolare. E infatti l’uomo, da quando grazie alla crescita della disponibilità di animali da allevamento ha rinunciato al cannibalismo, ha visto la diffusione a livello planetario delle religioni dell’amore, della fratellanza. Questa tendenza è stata contrastata quando l’universalismo estremista ha tentato di cancellare le differenze tra gli uomini, volendoci imporre di essere tutti uguali. Cancellare le diversità culturali, religiose, filosofiche dell’umanità è stato il disegno di tanti estremisti, che hanno creato un estremismo contrario: non siamo tutti uguali, siamo incompatibili! dunque siamo gli uni in guerra con gli altri, governati dall’irrazionalità.
Le sfide di oggi in realtà sembrano avere due risposte incompatibili: o quella degli opposti fondamentalismi che convergono nel definire l’altro il male non redimibile, o quella di Francesco che si rivolge a tutti e ci dice che siamo tutti fratelli, diversi, naturalmente diversi, ma non certo incompatibili. Il seguito che le sue posizioni hanno in tutti i campi culturali e religiosi, ma anche il fastidio che provocano in tutti quelli che vedono nell’altro un nemico, dimostrano la forza del messaggio bergogliano. Forse è anche per questo che lo scellerato di Parigi è voluto andare a perpetrare il suo crimine in una chiesa cattolica.