Il vaticano conosce bene l’istituto delle “dimissioni accettate”. Una volta il cardinal Siri lo spiegò anche agli altri, quando disse a Paolo VI “grazie di aver accettato dimissioni che non ho mai dato”, quando lasciò la presidenza della CEI. Ma non è lo specifico di ciò di cui si accusa il dimissionario – dimissionato c, uomo forte della segreteria di Stato vaticana ai tempi del cardinal Bertone, quindi una figura di assoluto rilievo, la grande questione, ma come ci si è arrivati. Oggi infatti il vaticano scopre in casa i suoi scandali, ma resta da capire se i sistemi di controllo funzionino davvero. O serve l’intervento del papa in persona, lungo e reiterato, per metterli nelle condizioni di produrre alla fine il risultato? Questo è il punto.
La questione prima non si poneva neanche in ipotesi. Basti ricordare cosa successe con il fondatore dei Legionari di Cristo ai tempi di Giovanni Paolo II. La questione è diventata vera e propria questione dal giorno in cui, al tempo di papa Benedetto XVI, si scelse di adeguarsi agli standard richiesti dal sistema internazionale per non essere più definiti un paradiso fiscale passibile di riciclaggio di denaro sporco. Fino ad allora questo era il dato oggettivo, il dato di realtà. Per uscirne si doveva innanzitutto separare controllore e controllato. Facile a dirsi, difficile a farsi. Ovunque, soprattutto in un sistema complesso e articolato come quello vaticano, che ha ancora le caratteristiche di una corte più che di uno stato.
La particolarità del caso vaticano è che il nuovo millennio ha portato re che sembrano volere lo Stato, ma non la corte vive ancora nel mondo precedente. Questa impressione è avallata da un’immagine, che risale ai primi giorni del pontificato di Francesco. Il papa arrivò a Castel Gandolfo per salutare il dimissionario Joseph Ratzinger. Sul tavolino tra di loro, ben ripreso da tutte le telecamere vaticane, c’era due enormi plichi, che Ratzinger consegnò a Bergoglio. Erano i documenti dell’inchiesta cardinalizia affidata da Benedetto XVI a tre cardinali sul caso del corvo. Il processo pubblico era un’altra storia. Quegli atti, che solo i tre cardinali incaricati dal papa potevano conoscere, nel processo non sono mai giunti. Dunque qual è stato il vero processo? Quello pubblico o quello segreto?
Il cammino della trasparenza vaticana è cominciato così. La trasparenza è il punto decisivo e fragile, su tutto ciò che attiene a materie “sensibili”, come abusi sessuali, questioni finanziarie, giustizia. Perché condannare il direttore della Banca d’Italia non ha lo stesso valore morale del condannare il direttore della banca del Papa, condannare un religioso per abusi non è la stessa cosa che condannare un qualsiasi altro essere umano. L’autorità morale, e il danno morale, creano circuiti di copertura. Romperli non è facile, e la scelta decisiva è quella di fare della Chiesa la Chiesa di tutti i fedeli, non la Chiesa dei chierici nel mondo e della curia a Roma. Quindi la trasparenza, cioè la scelta di Benedetto e di Francesco, è il punto decisivo. La gestione delle finanze vaticane può cambiare non tanto se cambia il personale, ma se le autorità di controllo possono davvero controllare. E’ quello che per circa due anni Francesco e il segretario di Stato Pietro Parolin hanno cercato di imporre e ottenere sul caso che oggi porta alla caduta del cardinale Becciu.
E’ la scelta della trasparenza quella che, faticosamente, cambia tutto: infatti l’addio di Becciu, così drammatico anche nell’orario notturno dell’annuncio, arriva a pochi giorni dall’ispezione di Moneyval in Vaticano.
Ora è evidente che se Ratzinger e Bergoglio non avessero scelto la via della trasparenza non ci sarebbe stato l’imminente audit di Moneyval e se non ci fosse stato l’audit i sistemi di verifica interna non avrebbero trovato quel che sta emergendo. La grande novità dunque è questa: mentre prima gli scandali venivano scoperti dall’esterno ora emergono dall’interno. Anche in questo caso, infatti, la questione dell’acquisto anomalo del palazzo londinese che fa tanto discutere è stata posta dall’interno e dall’interno è partito l’iter che ha portato all’uscita di scena del cardinale Becciu. Ma quanta fatica…
Ora rimane un problema: questo sistema evidentemente fa ancora i conti con resistenze interne, la struttura-corte non lo tollera, il suo è un potere che nacque irresponsabile e che si vuole ancora così, irresponsabile. Il problema lo possiamo capire appieno non se pensiamo alla corruzione, ma al fine. Quando Papa Francesco fu eletto molti dissero che voleva chiudere lo IOR. E come avrebbe fatto il Vaticano a finanziare tante chiese locali in paesi poveri? La scelta è stata ovvia: lo IOR resta, ma deve imparare a operare in modo da fare utili puliti, anche se vorrà dire guadagnare meno.
I revisori, società di consulenza, grandi soggetti internazionali arrivarono in Vaticano. Ma il punto principale allora e oggi rimane quello: una vera, effettiva distinzione tra controllore e controllato. Lo scandalo di oggi dimostra che il cammino fatto è tanto rispetto a quando il Vaticano era un paradiso fiscale, ma i tempi e la rilevanza dei soggetti coinvolti dimostrano quanto i meccanismi di controllo, che producono la trasparenza, siano da una parte la grande novità e dall’altra il grande problema.