“Era tigre e chioccia. Sapeva tenerci tutti insieme. E insieme siamo stati fino all’ultimo”. Stefano Boeri era al fianco della madre quando è scomparsa, insieme ai fratelli Tito e Sandro. La designer e architetta Cini Boeri se n’è andata a 96 anni nella sua casa di Milano. “È stata una protagonista del periodo aureo della creatività milanese e italiana a partire dalla seconda metà del secolo scorso”, ha scritto la famiglia nel comunicato che ne ha annunciato la morte.
Sulle pagine del Corriere, la ricorda il figlio:
Novantasei anni. «Sono tanti», dice Stefano sereno e malinconico, il trambusto nella sua casa-studio nel cuore di Milano, le telefonate di condoglianze, le parole di affetto. «Fino a un anno fa andava in studio la mattina, tutti i giorni. Il lavoro era la sua vita, la teneva in piedi, la stimolava. Anche negli ultimi mesi, nonostante la fatica, continuava a progettare e disegnare, anche con le mani, è sempre stata una disegnatrice di forme, mia mamma».
Cini amava l’architettura e per il suo lavoro ha sfidato i pregiudizi:
«Al Politecnico Giuseppe de Finetti disse a mia madre: “Non puoi fare l’architetto! È una professione per uomini”». Si laureò nel 1951. Nonostante gli inviti più o meno palesi a rinunciare al cantiere, a fare la moglie e la madre.
La famiglia era un altro tassello fondamentale della sua esistenza:
«Nonostante una carriera così importante e totalizzante, per noi c’era, sempre. Concentrata sulle nostre vite, non ci perdeva mai di vista». E il rapporto con il figlio architetto, anzi, con l’archistar del Bosco verticale Stefano Boeri?
La passione per l’architettura l’ha trasmessa anche a lui, ma mai hanno lavorato insieme:
“Parlavamo spesso di architettura, in modo sincero, a volte infuocato. Ognuno con le sue idee nel segno del rispetto reciproco. Erano confronti molto belli i nostri. E sapevo che la sua porta era sempre aperta per me. Era mia madre”. Nessun complesso? “Nessuno.