Con la cultura si può anche mangiare: una lettera aperta a Giuseppe Conte
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Con la cultura si può anche mangiare: una lettera aperta a Giuseppe Conte

Dopo gli Stati Generali, una riflessione in forma di lettera aperta sulla necessità di ripartire dalla cultura

Cultura italiana
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Michele Cecere Modifica articolo

23 Giugno 2020 - 20.18


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Gentilissimo Presidente del Consiglio, ieri ha concluso gli Stati Generali dell’economia affermando che non bastano semplici riforme ma occorre un cambiamento epocale per il nostro Paese. Queste giornate erano dedicate all’economia, credo che l’economia di un Paese come il nostro non possa prescindere dal suo territorio né dalla cultura della sua terra.  
Mi piace da quarant’anni attraversare il mio Paese, viaggio per lo più in Italia e credo che occorra partire dal territorio per sviluppare al meglio le sue risorse,  in particolare i suoi beni artistici e il suo paesaggio.
Circa il paesaggio è un dolore pensare che, se da un lato si lavora per un ambiente meno inquinato, dall’altro poco o nulla si fa per riparare alle tante violenze che gli italiani hanno inferto al loro bene comune fondamentale, ovvero appunto la terra e il suo paesaggio. Poco o nulla si fa per ripulire le “terre dei fuochi” e le tante altre aree altamente inquinate, né per buttare giù gli scheletri degli abusi edilizi, per cui, soprattutto al Sud, il paesaggio è punteggiato da macabre strutture edilizie e cimiteri di capannoni industriali mai completati.
Quanto ai  beni artistici invece mi addolora in questi anni attraversare l’Italia e vedere un po’ ovunque, visitando i piccoli borghi, interessanti chiese e musei spesso inesorabilmente chiusi anche nei mesi estivi. Il viaggiatore meno frettoloso a volte si guarda intorno e scopre la vecchietta amica del parroco che possiede una chiave magica, la chiave con cui si apre quel piccolo tesoro, la chiesa con gli antichi affreschi che la guida turistica o il sito internet segnalano come imperdibile. L’Italia è ricca di piccoli comuni attraversati ogni anno da milioni di turisti, molti dei quali ci passano per caso, magari per colpa del navigatore che mostra la strada più breve e allora, dietro la curva, vedi l’indicazione gialla della chiesa nascosta. Questi turisti, non solo italiani, vorrebbero naturalmente visitare questi piccoli musei e queste chiese e certo non solo nel loro aspetto esteriore. E allora, per aprire questi piccoli tesori d’arte, perché non provare a creare nei piccoli comuni, ma anche nei quartieri delle città più grandi, una rete di associazioni (penso ad esempio alle Pro-Loco) mettendo insieme giovani e vecchi,  quei vecchi capaci di raccontare la storia di quel territorio,  di quel paesino, di quel quartiere? Questi piccoli tesori, chiesette di campagna o dei piccoli borghi e pure quei tanti piccoli musei dispersi sul territorio nazionale, per i quali ovviamente in questo momento ci sono mille problemi, possono diventare risorse per sviluppare meglio il piccolo turismo, anche perchè il settore non può essere legato solo ai grandi eventi e alle opere d’arte più famose, ai grandi monumenti e alle mostre importanti nei musei più rinomati.
Peraltro restituendo linfa ai piccoli borghi sarebbe possibile rivitalizzare il tessuto civile del 70% dei comuni italiani, ovvero di tutti quelli che contano meno di 5000 abitanti ma occupano oltre la metà del territorio italiano, i comuni in cui oggi non si fa nessuna fatica a mantenere la sana “distanza di sicurezza” fra le persone. In sostanza si tratta di fare in modo che il nostro popolo possa acquisire la consapevolezza di ciò che significa “bene comune”, perché il piccolo museo e la chiesetta del borgo sono beni comuni e devono essere gestiti dalla comunità e per la comunità, col concorso dei giovani e degli anziani del paese, magari corrispondendo loro dei voucher,  qualcosa che questi novelli operatori culturali possano poi a loro volta spendere in cultura, affinchè non si tratti di puro volontariato. Naturalmente anche le persone beneficiarie del reddito di cittadinanza potrebbero far parte di questa “task force” per la cultura, perché le risorse economiche erogate a pioggia e senza un corrispettivo lavoro non sono mai educative. Ovviamente occorre il coinvolgimento del ministro Franceschini e (perché no ?) anche di Papa Francesco, perché le piccole chiese vanno gestite insieme dai cittadini e dai fedeli, dalla Chiesa e dallo Stato, uniti nella tutela dei beni culturali.

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