Ho tenuto per più di un mese un diario del virus, che avrebbe voluto colmare il vuoto improvviso che si era creato dopo le misure del lockdown. Voleva essere, nelle mie intenzioni, la testimonianza di un insegnante che si ritrova senza classe, come un artista senza palcoscenico, un prete senza Dio ed era anche il bisogno di riflettere, capire, ragionare su quello che stava accadendo, alla scuola e al mondo nel quale viviamo.
Da una settimana l’anno scolastico si è concluso ed è forse il tempo di tracciare un primo, provvisorio bilancio della didattica a distanza, anche in vista di quello che potrebbe succedere a settembre.
Vorrei iniziare con una confessione che voglio rendere pubblica. Agli studenti del Liceo dove insegno
Filosofia e Storia ho fatto una promessa: se qualcuno vorrà imporre lezioni a distanza, turni e classi dimezzate, ho deciso di tenere le prossime lezioni en plein air, secondo la tecnica impressionista. Userò prati, boschi, parchi e altri luoghi aperti per parlare di Platone e del Risorgimento: è un impegno che ho preso con gli studenti, ma soprattutto con la mia coscienza professionale, perché la didattica a distanza è la negazione della scuola, come luogo comunitario di apprendimento e di confronto.
Capisco l’emergenza. È qualcosa di imprevedibile, inaspettato e le istituzioni hanno reagito con gli strumenti emergenziali che avevano a disposizione, ma quello che preoccupa è la tentazione, manifestata in più di una circostanza, di estendere la didattica a distanza anche ai prossimi anni, come se l’esperimento a cui siamo stati sottoposti fosse riuscito e quindi fossero maturi i tempi per una rivoluzione digitale anche nella scuola.
Se qualcuno pensa che questi due mesi abbiano aperto nuovi orizzonti pedagogici dovrà tenere conto di alcune criticità che sono emerse a chi non si è convertito alla nuova fede.
Per intanto la didattica a distanza ha avuto come primo e fondamentale esito la dissoluzione della comunità scolastica, in tutte le sue componenti, studenti, docenti, personale tecnico e amministrativo, ed ha causato una terribile atomizzazione dell’insegnamento. Che vuol dire? Nella nuova realtà siamo diventati degli atomi, isolati, segregati, collegati in maniera innaturale con un mondo dove gli altri erano presenze virtuali che non si potevano incontrare. La didattica a distanza ha creato delle voragini emotive, ed ha fatto collassare uno dei perni della trasmissione del sapere e della conoscenza, l’empatia. Senza quella dimensione fisica e psicologica non c’è passaggio di emozioni, le nozioni non attecchiscono nell’animo degli studenti e lasciano un senso di profonda frustrazione nell’insegnante, che non riceve alcun feedback da parte dei ragazzi. L’insegnamento è infatti un corpo a corpo, fisico e intellettuale fra insegnante e studente, se crolla quella dinamica non c’è apprendimento e non c’è crescita, ma solo accumulazione di nozioni, prive di vita, inutili suppellettili, perché sterili.
Un altro problema che è emerso è la curvatura dogmatica che assume la didattica a distanza, dal momento che il dialogo, che presuppone una prossimità fisica ed emotiva, è reso impossibile anche a causa della scarsa efficienza del mezzo tecnologico, con una connessione il più delle volte ridicola. Nel vuoto autoreferenziale in cui ci siamo trovati, noi insegnanti siamo diventati dogmatici e antidialettici e ci siamo persi l’Altro, gli Altri, quelle voci e quei volti che rendevano creativa e feconda l’esperienza dell’insegnamento.
Ci sono poi considerazioni di ordine sociale, che sono altrettanto importanti. Parti significative del nostro Paese non possiedono una efficiente copertura informatica e la connessione digitale è quasi impossibile, quindi per molti studenti l’accesso alle lezioni a distanza è stato proibitivo, e sono stati quindi esclusi dalle lezioni e dagli incontri. Bisogna altresì aggiungere che non tutti gli studenti possiedono un Pc e che in alcune famiglie non erano sufficienti a coprire le esigenze di tutti i componenti, per cui il diritto allo studio è stato seriamente compromesso. Non sarà superfluo sottolineare il fatto che gli studenti che hanno incontrato le maggiori difficoltà nell’accedere alle piattaforme erano anche quelli più fragili, a rischio abbandono e che in questo scenario si sono persi nelle nebbie digitali. Questo modello di scuola è purtroppo antidemocratico e classista, come si sarebbe detto in altre epoche, e riproduce forme di emarginazione sociale che sono in totale difformità con il ruolo di integrazione che la scuola pubblica, come istituzione, dovrebbe avere.
Infine, ed è ciò che preoccupa e inquieta, dalla scuola a distanza, sembra delinearsi lo scenario di un’istruzione che si è convertita alla filosofia dell’impresa economica, come se sapere e conoscere fossero parte di un progetto aziendale che piega e orienta le nostre vite verso una visione tanto utilitaristica, quanto disumana.