Alla fine hanno prevalso le ragioni dell’economia sulle cautele per la salute. Da domani si riparte. Diciamolo, non si poteva fare diversamente. Il Paese è in ginocchio, non avrebbe retto un altro prolungamento del lockdown. Già ora sarà difficilissimo rialzarsi. Ci aspetta un autunno lacrime e sangue sotto l’aspetto economico e sociale. Restare ancora fermi, mentre tutti gli altri Paesi ripartono, ci avrebbe fatti affondare. Con un disastro probabilmente maggiore di quello del virus.
Ma i rischi sono altissimi. Le regole sulle misure prevenzione e sicurezza sono state piegate al ribasso sotto la spinta delle Regioni, a loro volta pressate da tutte le categorie produttive e dagli enormi interessi in ballo. Un “rischio calcolato”, ha cercato di rassicurare il premier Conte. Ma gli strumenti di quel calcolo non si sa bene dove e cosa siano. Viaggiamo ancora a una media di circa mille nuovi casi di contagio accertato al giorno. Sapendo che i nuovi positivi reali sono da cinque a dieci volte di più secondo le stime degli esperti, di cui quasi la metà asintomatici, cioè portatori inconsapevoli del Covid. E la bomba Lombardia (metà dei casi nazionali), che con le sciagurate scelte sanitarie dei suoi governanti ha condizionato enormemente la diffusione della pandemia, è tutt’altro che disinnescata.
In generale le cose vanno meglio. L’indice di contagiosità, è ampiamente sotto l’1 (mediamente tra lo 0,5 e lo 0,8 nelle diverse regioni), la curva continua la sua lenta discesa (ma è molto sospetta la mancanza dei dati sugli effetti della prima riapertura del 4 maggio), il drammatico aumento quotidiano dei morti (oltre 31mila) sembra rallentare, soprattutto è migliorata la situazione negli ospedali e nelle terapie intensive, che non sono più all’emergenza. E si spera che il caldo e la vita all’aria aperta d’estate abbia un ulteriore effetto rallentamento.
Quello che non va meglio è, invece, il contrasto al virus. Abbiamo visto in queste ultime settimane un gran proliferare di protocolli sulle regole di convivenza col virus, ma pochissimi passi avanti sulle famose tre T. Sui tamponi siamo ancora fermi, sul tracciamento dei contagi pure, sul trattamento e isolamento sicuro dei malati idem. Il lavoro che andava fatto nei due mesi di lockdown è ancora di là da venire. Siamo ancora agli annunci di quel che si dovrà fare nei prossimi mesi.
L’ultimo paradosso, su questo fronte, è quello dei test sierologici. Quelli al personale sanitario li sta facendo, con grande ritardo, la sanità pubblica. Per quelli ai lavoratori delle aziende e ai singoli cittadini, a lungo inspiegabilmente osteggiati, ci si è infine affidati ai privati. I test possono essere un contributo importante a fare ciò che non si è riusciti a fare finora: mappare il virus, soprattutto gli asintomatici. E senza costi per lo Stato, dal momento che sono a pagamento. Chi li fa, se ha gli anticorpi al virus, dovrebbe però poter fare subito il tampone per sapere se è o meno infetto. Cosa che la sanità pubblica non è in grado di fare. Così chi si sottopone al test rischia di dover rimanere in quarantena per un tempo indefinito. Così, dopo la valanga di richieste iniziali, già fioccano le disdette dei datori di lavoro e dei privati cittadini, terrorizzati dal dover rimanere chiusi in casa un altro mese o due.
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