Covid-19: è l'ora di dare fiducia e indicazioni chiare. Basta terrorismo
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Covid-19: è l'ora di dare fiducia e indicazioni chiare. Basta terrorismo

Con il virus dovremo convivere probabilmente a lungo. Quindi, per favore esperti e politici, provate a riordinare le idee e a darci informazioni chiare, possibilmente esatte ed univoche, che ci aiutino

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Claudio Visani Modifica articolo

24 Aprile 2020 - 15.21


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Tra dieci giorni il confinamento domiciliare di massa, che chiamano lockdown perché fa più figo, finirà. Dal 4 maggio il Paese ripartirà e noi potremo ricominciare a uscire di casa. Siamo pronti? Lo possiamo fare in relativa sicurezza? In alcune zone del Paese parrebbe proprio di no. La Lombardia, Milano in particolare, il Piemonte, la Liguria. In altre del Centro Nord (Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia-Romagna) la situazione è migliore. Al Centro Sud, dove il virus finora ha circolato poco, sembra di sì. E’ troppo presto per riaprire? No. Il Paese non reggerebbe un prolungamento ulteriore del blocco. Il futuro economico e sociale che ci aspetta è già tetro. Siamo in ginocchio. Allungare oltre, con gli altri Paesi che ripartono, rischierebbe di non farci più rialzare. E se così fosse, anche la lotta al virus si indebolirebbe. Ma qui non voglio parlare di questo. Voglio parlare delle persone. Di comunità, senso civico, responsabilità. Del governo e di noi singoli cittadini.
Dal 4 maggio verremo liberati dalla clausura. E’ troppo presto? No. Diciamolo, è ora. Nemmeno gli italiani avrebbero retto. Le famiglie dei palazzoni di periferia. Quelle che vivono in cinquanta metri quadri senza balconi, terrazze e giardini. I bambini privati dei loro amici e di un parco dove poter giocare. I ragazzi senza più scuola, sport e uscite serali. I fidanzati e gli amanti. I padri e le madri del lavoro da casa, che chiamano smart working perché anche quello così fa più figo ma se sei costretto a farlo in promiscuità, mentre ti devi preoccupare anche dei figli, dei nonni, della spesa con fila al supermercato, così figo non è. I lavoratori privati del lavoro e ancora senza cassa integrazione. I precari senza più reddito. Gli anziani impauriti da un virus che sembra la Spectre dell’Inps per quanto fa strage selettiva, segregati nelle case di riposo a rischio e senza possibilità di contatto con i loro cari, oppure nelle proprie abitazioni senza più una vita sociale. Per non parlare dei disabili, dei malati non di Covid, dei più emarginati. Prolungare l’isolamento oltre i due mesi avrebbe mandato nei matti un bel po’ di gente. Non sarebbe stato sopportabile. C’era il rischio della rivolta popolare. Comunque sia, il dado è tratto. Si riaprirà. Lentamente. A scaglioni. Passo dopo passo. Per tutti e non per aree di rischio (e questo non so se è saggio). Con le cautele del caso, il distanziamento sociale, forse le mascherine sempre. Pian piano ricominceremo a riappropriarci dei nostri spazi, dei nostri affetti, della nostra libertà (condizionata, ma pur sempre libertà). Quindi è arrivata l’ora di cambiare messaggio, la comunicazione. Di fare ciò che finora non è stato fatto. Puntare sull’informazione chiara e sul buon senso invece che sul terrore. Investire sulla correttezza dei comportamenti individuali. Sulla responsabilità  delle persone.
In questi due mesi il messaggio è stato uno solo: “state a casa”. Le immagini degli effetti del virus – i reparti di malattia intensiva, i malati intubati, medici e infermieri bardati, camion militari che portano via le bare – hanno rafforzato quel messaggio trasmettendo la paura. E quel messaggio è arrivato. Le regole sono state rispettate. Gli italiani, che non hanno mai eccelso in senso civico, hanno dato una straordinaria prova di civiltà. Hanno rispettato le regole. Imparato a fare le fila. A tenere le distanze. A evitare gli affollamenti, le caciare e le balotte in cui siamo maestri. Tranne quelli che hanno continuato a lavorare, gli altri sono rimati tutti a casa. Salvo scoprire dallo studio dell’Istituto superiore della sanità, reso pubblico oggi, 24 aprile, che ben l’84% dei contagi nel mese di aprile è avvenuto in famiglia (25%), nelle case di riposo (44%), negli ospedali (11%) e nei luoghi di lavoro (4%). E che quindi, come minimo, bisogna guardare oltre il lockdown.
Le eccezioni sono state pochissime, come dimostrano anche i dati sui controlli e le sanzioni. E spesso i cittadini hanno dimostrato di essere più responsabili di chi doveva dare l’esempio e non ha dato un bell’esempio. Ce le ricordiamo tutti le immagini di Salvini che passeggia mano nella mano con la fidanzata per via del Corso, Fontana che si mette la mascherina a rovescio e invece di stare in quarantena sta sempre in tivù, Sala con la maglietta Milano non si ferma, Zingaretti che prende l’aperitivo coni giovani sui Navigli, Bonaccini che si siede accostato al commissario Venturi e usa il suo stesso microfono, per non parlare dell’inaugurazione dell’ospedale “dei miracoli” alla Fiera di Milano con duecento persone, o del funerali vietati ai comuni mortali ma non quello del sindaco di un Comune del sud, con corteo, folla e vicesindaco in testa, solo per fare qualche esempio. Figure pubbliche e istituzionali che si comportavano così per poi trattare come criminali i passeggiatori, i runner, i ciclisti, chi portava fuori il cane o i bambini oltre i 200 metri da casa. Nonostante tutto questo, i cittadini si sono comportati bene, hanno dato prova di maturità e responsabilità. Poco importa se sia stato più per paura che per senso civico. Non li si può più trattare da irresponsabili.
Virologi, microbiologi, epidemiologi e istituzioni sanitarie non hanno dato finora grandi prove di univocità nei messaggi. Tamponi sì, tamponi no. Mascherine no, mascherine sì. Un metro di distanza basta ma forse non basta più. Il virus non è nell’aria ma nei locali chiusi ci può stare (ed è di oggi la notizia di uno studio della Società Italiana di Medicina Ambientale che dimostrerebbe tracce del Covid anche nelle polveri del particolato atmosferico). Si trasmette solo con le goccioline e il contatto diretto ma forse anche con certi impianti di areazione. No, nell’acqua non c’è ma nelle fogne l’hanno trovato. Insomma, s’è capito che ne sanno poco anche loro di questo bastardissimo virus. E se gli esperti son messi così, figuriamoci i politici. Ciascuna Regione è andata per conto suo. Aprire tutto, chiudere tutto, riaprire tutto. Chi ha fatto la scelta dei tamponi, chi quella dei test sierologici, chi nessuna delle due. Chi diceva di combattere il virus casa per casa ma non rispondeva alle chiamate di chi era già a casa malato. Le aziende aperte in certe zone e in altre no. I supermercati aperti la domenica e anche no.
In questa grande confusione una sola cosa appare certa: col virus dovremo convivere probabilmente a lungo. Quindi, per favore esperti e politici, provate a riordinare le idee e a darci informazioni chiare, possibilmente esatte ed univoche, che ci aiutino a convivere col nemico invisibile nel modo migliore e meno rischioso possibile. Perché, comunque, un rischio ci sarà. Quindi meglio che ci diate le indicazioni e gli strumenti di conoscenza giusti per ridurlo. Meglio che ci diate fiducia più che continuare a fare del terrorismo. Perché non servirebbe a niente nel momento in cui il Paese riaprirà. Comunque usciremo, saliremo su un mezzo pubblico, andremo a lavorare in ufficio o in fabbrica, si spera che potremo tornare presto anche a farci tagliare i capelli, a prendere un caffè al bar, al ristorante, perfino al mare. Allora, se tutto questo è vero, perché si continuano a vedere in tivù solo gli spot #iostoacasa, o a sentire messaggi terrorizzanti diretti agli ultra sessantenni perché rimangano segregati nelle loro abitazioni fino a Natale? E perché non si vede, invece, una campagna di comunicazione massiccia e ben orchestrata che punti sulla correttezza dei comportamenti individuali e sulla responsabilità personale, quali armi fondamentali per contrastare il virus? Possibilmente accompagnata da un’azione  mirata e coordinata sul piano nazionale per mappare finalmente il virus, trovare i contagiati che sono almeno dieci volte di più di quelli ufficiali, isolare i loro contatti. Passando finalmente dal dire al fare sugli screening territoriali, la famosa App, la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro, dei trasporti, degli spazi pubblici, delle case protette dei nostri vecchi. Ecco, tutto questo mi sembrerebbe doveroso. Dovuto agli italiani. La prova di un Paese più maturo e civile.

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