Dopo lo spavento e la paura, forse il sentimento più comune a tutti gli italiani in questo momento è l’incertezza. Si dibatte molto sull’uscita dalla fase uno tra dubbi e spinte. Ci si affida ai numeri per valutare l’entrata in una nuova fase, ma al di là dei numeri, ci sono le pratiche, le nostre vite. Come diventeranno.
Alle istituzioni il compito e la responsabilità di dare indicazioni chiare ai cittadini.
Il vice ministro Pier Paolo Sileri è tra i protagonisti in campo nella gestione della fase 2.
Si parla molto della “fase 2”. Quali sono i punti cruciali che avete individuato, su cui tenere alta l’attenzione? Quali le strategie per affrontare questa nuova fase?
Le darò alcune parole chiave sulle quali declinare la fase 2: tutela della salute, welfare, economia. Questo significa garantire e proteggere la salute di tutti i cittadini, a partire dai più fragili, i disabili, gli anziani, i più bisognosi anche attraverso il vaccino, ma non solo: politiche ad hoc per riequilibrare l’impatto sociale del Covid-19, sostegno alle famiglie che non potranno avere il supporto dei nonni nella gestione dei figli perché i nonni dovranno essere ancora protetti; rafforzamento del supporto dello Stato alle imprese e l’avvio di un processo di innovazione nel nostro modo di lavorare, che non sarà solo lo smart-working. Come pensate di operare sul territorio, visto che come più volte viene oggi ribadito: una pandemia si combatte sul territorio non negli ospedali?
Attraverso la medicina territoriale: sia con i medici di base per il supporto ai cittadini, sia con i medici della prevenzione che possano quindi vigilare sulla salute all’interno di fabbriche, aziende, stabilimenti industriali. Medici sentinella a far da guida e ad impedire che si accenda un focolaio, per curare al meglio tutti e non lasciare indietro nessuno, per mappare il territorio anche sui bisogni che non hanno a che fare con il Covid-19. Perché una volta che la pandemia sarà conclusa, grazie al vaccino e alla possibilità di farlo al più ampio numero di persone possibile, si dovrà riprendere a pieno ritmo la cura e l’assistenza alle altre patologie che non si è mai smesso di curare ma alle quali sicuramente è stato dedicato meno tempo. Gli stessi cittadini hanno evitato di andare in ospedale durante l’emergenza, pur avendone bisogno. Questo significherà riprendere un’azione di sorveglianza medica molto attenta.
Le Regioni presentano caratteristiche molto diverse tra loro. Con le dovute differenze, ma in tutto il nord i contagi continuano ad aumentare mentre al centro sud la situazione si sta lentamente stabilizzando su numeri più contenuti, in alcune regioni si è arrivati a zero contagi. Alla luce di questo la fase 2 sarà differente nelle varie Regioni?
Non possono essere fatte distinzioni che mettano in difficoltà o creino disparità tra tessuti economici geograficamente diversi. Dovranno, invece, essere considerate le diverse realtà sul territorio: se ho dei dati sul contagio ancora importanti, dovrò valutare molto attentamente alcune riaperture, il che non vorrà dire non consentire di riaprire, ma individuare soluzioni ulteriori per migliorare la sicurezza di lavoratori e cittadini. La soluzione a macchia di leopardo non è comunque percorribile. La fase 2 dovrà essere in grado di garantire sicurezza a tutti i nostri connazionali, a prescindere dalla Regione.
Il modello Veneto di mappatura quanto più possibile capillare dei contagi, attraverso una combinazione di test sembra dare ottimi risultati. In che cosa si differenza da quello lombardo? Nel quale si è riscontrata una grande difficoltà a fare controlli e tamponi. Ancora oggi si leggono e vedono testimonianze di persone con sintomi conclamati cui non è mai stato fatto un tampone e che devono valutare autonomamente quanto far durare la propria quarantena.
Cosa deve cambiare nella fase 2 perché non si perpetui questa deficienza?
Il modello Veneto può rappresentare un riferimento?
Il modello Veneto, per quanto agevolato dall’aver limitato immediatamente un focolaio come quello di Vo’ Euganeo, ha funzionato soprattutto perché ha isolato i contagi e gli asintomatici attraverso i tamponi. É quindi un buon riferimento, a cui si deve affiancare anche il potenziamento della medicina territoriale, che a Vo’ ha funzionato molto bene perché radicata sul territorio a differenza di Regioni come la Lombardia. Nel merito dei tamponi l’ho detto e ribadito più volte, nella consapevolezza che le Regioni si adopereranno: serve fare i test, ovvero i tamponi, serve farli ai contatti stretti del contagiato, oltre a tutte le categorie che abbiamo già segnalato nella circolare del Ministero della Salute del 3 aprile: personale sanitario operante in ogni struttura, compreso nelle Rsa, e ai possibili contagiati nelle Rsa.
Ci sono le risorse per garantire questo monitoraggio. Dove per risorse si intende test sierologici a sufficienza, tamponi dove necessario, personale sanitario?
Sui sierologici, non appena avremmo l’esito della gara, avviata venerdì sera, avremmo la capacità di quantificare e qualificare i controlli da effettuare con i test sierologici; a giorni partirà anche l’indagine nazionale epidemiologica con il test sierologico. I mezzi ci sono e laddove si registrano carenze siamo molto vigili per rifornire. É chiaro però, che il personale sanitario dovrà essere rafforzato: son partiti in queste ore i 99 infermieri che hanno risposto alla richiesta del governo, tramite bando della Protezione Civile, per l’assistenza domiciliare ai malati Covid-19.
Ne serviranno altri e altri ancora, così come più medici competenti: è il momento di irrobustire il corpo della nostra sanità pubblica.
Tante sono stati i contagi tra i sanitari sul territorio prevedete di garantire loro e al territorio stesso maggiore sicurezza fornendo DPI adeguati e monitoraggio sanitario?
Troppi sono stati i contagi avvenuti per dispositivi inadeguati o assenti ma siamo ormai ad un livello di copertura pressoché totale per quanto riguarda le protezioni fornite dal governo tramite il dipartimento della Protezione Civile.
Vista l’importanza del monitoraggio del territorio, quanto importante è la collaborazione dei cittadini anche per la mappatura? Se, come pensate di coinvolgerli? Si sente parlare di app, oltre a questo ci sarebbe bisogno anche di altro?
L’ app per il contact-tracing è stata individuata, si chiama “Immuni”: ogni forma di interazione di questo tipo si basa sulla collaborazione tra individuo e autorità. Sancisce, per la prima volta nella storia della nostra Repubblica, una sorta di patto tra cittadinanza e governanti attraverso la tecnologia, affinché a tutti sia garantita la protezione dal virus. “Immuni” sarà tanto più efficace quanti più cittadini scaricheranno l’app, parliamo di almeno il 70%. Accanto all’uso dell’app, è bene ricordarlo, i ruolo dei medici sul territorio resta centrale: medici della prevenzione nei luoghi di lavoro, medici di base in contatto diretto e costante con i cittadini. Al tracciamento dei positivi deve essere affiancato un lavoro di cura e assistenza alla cittadinanza.
Sembrano esserci due forze in campo quella del controllo “apriamo e vediamo come va”, meno attuabile sembra quella della prevenzione. Perché?
La fase 2 non può e non deve essere un tentativo. La fase 2 sarà un piano ben definito, in cui la prevenzione gioca un ruolo fondamentale. Non esisterà un piano che non terrà conto di questo aspetto, altrimenti non solo non ci sarà ripresa economica ma ci avvieremo verso un ulteriore discesa. Senza la tutela della salute non c’è possibilità di riattivarsi economicamente.
Si parla per ora quasi esclusivamente di strategie per garantire la riapertura del mondo del lavoro. Ci sono delle visioni e idee anche per la ripresa della vita fuori casa per bambini e anziani che, anche per la loro salute, necessitano di poter uscire.
Sostengo che serva un allentamento delle misure restrittive che riguardano le attività sportive all’aperto: dal limite di 200 metri ad un perimetro di 400-500 metri. Servirà però responsabilità e il rispetto delle regole: a nessuno sarà consentito di fare jogging lontano da casa oltre quanto stabilito. Dobbiamo dare maggiore libertà di movimento ai cittadini e questa è una soluzione possibile, visto che è impossibile che le palestre o i centri sportivi riaprano a breve, e altrettanto dobbiamo ipotizzare prospettive anche per la vita di bambini e anziani, su cui il governo ragionerà nelle prossime ore; anche se resta fuori discussione la riapertura dei parchi e delle ville per adesso.
Avete pensato a delle modalità per l’utilizzo in sicurezza dei mezzi pubblici: autobus, treni?
Lo stiamo facendo: una delle prime ipotesi è l’estensione del lavoro su più turni, eliminando così le cosiddette “rush hour”, le ore di punta e l’accalcamento sui mezzi pubblici. C’è inoltre la possibilità, per stabilimenti industriali di ricorrere al car pooling aziendale con un contingentamento delle persone a bordo dei mezzi messi a disposizione. O, meglio ancora, se i lavoratori potranno usufruire dei propri mezzi, auto o biciclette, con un incentivo economico. Per molte aziende e fabbriche, soprattutto al nord, i lavoratori devono percorrere ogni giorno tanti chilometri: ai cittadini pendolari garantiremo, così come si adopereranno le loro aziende, le migliori condizioni di spostamento in sicurezza.
Avete individuato ulteriori linee guida per i cittadini oltre al lavaggio delle mani, al distanziamento fisico (definizione forse più preferibile rispetto a “sociale”)?
Ci sarà l’obbligo di utilizzo per tutti della mascherina? Rispetto alle mascherine ancora non è chiaro l’utilizzo: Si vedono per strada persone con FF3 con la valvola (che protegge solo sé) , accanto a persone con la mascherina chirurgica (che protegge gli altri). Quindi chi ha la mascherina chirurgica è come se non avesse nulla. Pensate di regolamentare l’uso delle mascherine in modo più corretto e consapevole?
Ognuno di questi strumenti di tutela della salute e di protezione deve essere utilizzato: le mascherine chirurgiche non hanno senso se non rispetto il distanziamento fisico e se non lavo le mani accuratamente. Utilizzare i guanti per tutto il giorno e poi grattarsi gli occhi rischia di farci danno: meglio avere i guanti durante alcune attività, come la spesa, una visita in banca, l’utilizzo dei mezzi pubblici ma poi serve lavarsi spesso le mani con acqua calda e sapone. Queste sono azioni combinate e fondamentali per una maggiore sicurezza a cui ne possono essere affiancate altre una volta che avremo definito la fase 2.
Che estate dobbiamo cominciare a immaginare?
É ancora prematuro definire linee guida ma ci stiamo lavorando, dobbiamo però verificare l’andamento dell’epidemia, senza vanificare le settimane di sacrificio imposte agli italiani.
É però possibile già immaginare che un conto sarà spostarsi in campagna, da soli o con il proprio nucleo familiare – ridotto ai componenti più stretti –, un altro sarà andare al mare, dove ci sarebbe il contatto con molte più persone. Nelle prossime settimane saremo in grado di fornire misure più specifiche, intanto concentriamoci sulle prime riaperture e sulla fine del lockdown: ogni giorno vissuto in questa emergenza rappresenta un piccolo spartiacque, perché ci ha costretto o consentito di assumere nuove decisioni, definire nuove azioni, anche individuali, creare nuove abitudini. Un cambiamento rapido a cui, come individui e con grossi sacrifici, ci stiamo adeguando.
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