Mantenere la cittadinanza onoraria per Benito Mussolini, una delle personalità più corrosive della storia in generale non solo quella dell’Italia unita, è già di per sé una scelta più che opinabile a livello culturale nonché offensiva nei confronti della memoria di chi ha combattuto per porre fine alla sua stagione e a quello che di nefando ne è derivato. Difendere quella scelta è qualcosa che rasenta il parossismo puro.
L’apologia in questione è di Gianpiero Cipani, il sindaco di Salò, la cui giunta comunale nei giorni scorsi ha votato in maniera quasi plebiscitaria per il mantenimento del riconoscimento alla memoria del Duce. Cipani, autodefinitosi un “liberale democratico”, ha provato ad argomentare le ragioni di questa scelta: “La revoca della cittadinanza onoraria sarebbe stata solo una damnatio memoriae, un atto sbagliato perché di quei soggetti non si saprebbe più niente mentre noi vogliamo che ci si ricordi degli errori del Fascismo. Non vogliamo nessun atto simbolico, noi dimostriamo negli atti che non siamo fascisti Chi vuole eliminare la storia è un fascista, anzi un talebano”.
Cipani ha poi provato in un qualche modo a ridimensionare i legami del piccolo comune lombardo con il regime senza con questo rinnegarli: ”Salò non si deve affrancare da un bel niente, quei 600 giorni non sono Salò ma fanno parte della sua storia. I ministeri più importanti, e lo stesso Mussolini, stavano a Gardone, a Gargnano, qui c’era l’agenzia Stefani che mandava i dispacci con il nome del paese e la data”.
Da un lato il riconoscimento formale del fascismo come periodo nefasto a livello storico/intellettuale dall’altro l’accettazione serena della parentesi repubblichina: due posizioni che non possono collimare se non in un sinistro cerchiobottismo che si consustanzia nelle argomentazioni piuttosto precarie del sindaco di Salò.
Che non considera l’idea che la revoca dela cittadinanza a Mussolini rientri negli atti necessari per dimostrare la propria disapprovazione nei confronti del fascismo.