Stefano Miliani
Se «sei buono e ti tirano le pietre», se «sei cattivo e ti tirano le pietre», «qualunque cosa fai, / dovunque te ne vai, / tu sempre pietre in faccia prenderai», cantava Pierre-Antoine in una canzone del 1967 che fece epoca. Oggi il testo andrebbe aggiornato sul colore della pelle.
Hai i soldi?
Se sei una donna con un fidanzato dalla pelle nera, in Italia incappi in piccoli ma costanti incidenti di percorso che non conosceresti se entrambe foste bianchi. Una donna medico, di Firenze, 37 anni, ha un compagno francese. Di Parigi. Nero, 42 anni, psicologo. Persona schiva, con la comprensibile richiesta di anonimato per tutelare se stessa e soprattutto lui dalla eventuale furia che si scatenerebbe sui social, la donna racconta: «Il mio fidanzato è parigino, nero, laureato, indossa vestiti firmati eppure ogni singola volta che atterra all’aeroporto di Firenze, senza eccezione, viene fermato. Prima gli agenti gli chiedono da dove viene. “Parigi”. Immancabile arriva la domanda: “Prima di Parigi?”. Lui risponde: “Parigi”. Poi la domanda successiva: “Ce le li hai i soldi?”. “Certo”. “E quanto hai?”. Una volta, esasperato, ha preso il portafoglio e ha cominciato a contare: cinque euro, dieci euro, venti euro … Un’altra ha mostrato la ‘Carta Oro’. “Cosa vieni a fare a Firenze?” “A trovare la mia ragazza”. Certo, gli agenti fanno il loro lavoro. Eppure in tanti viaggi a me due volte hanno chiesto di aprire il bagaglio, non mi hanno mai chiesto se ho soldi».
Hai il biglietto? E gli altri…?
Episodi di un razzismo strisciante, magari inconsapevole, senza aggressività? «Accade di continuo. Due anni fa, nel bel mezzo della mostra “Da Kandinskij a Pollock” a Palazzo Strozzi, in una sala a metà percorso l’addetta va dal mio fidanzato e solo a lui chiede il biglietto. Avevo io i biglietti ma ero in un’altra sala. Non è mai successo di sentirmi chiedere il biglietto a metà percorso – racconta la dottoressa – Mi infurio, a quel punto lei dice “mi dispiace, non importa”, le rispondo che non si fa così, lei se ne va. Dopo si è scusata con il mio ragazzo. Spesso la gente agisce così, in buona fede: la ragazza era razzista inconsciamente, è un comportamento a livello inconscio ed è solo legato al colore della pelle». Oggi, chiosa, il clima è peggiorato.
«Se non ero con lui, quel posto al ristorante c’era»
I due cercano di non pensarci troppo. Il che è difficile. La dottoressa ricostruisce un altro fatto. Sempre piccolo, sempre insignificante, sempre significativo, nel suo piccolo. «Eravamo in un famoso ristorante romano dove avevo già mangiato, bene, una volta. Ci ero tornata con lui. Il posto era affollato, ma mettevano tutti a sedere tranne noi. Dopo 40 minuti vado a lamentarmi, ci trovano un tavolo per quattro, stiamo per ordinare quando un cameriere si scusa, ci dice che ci sono altre persone per questo tavolo e ci offre un altro tavolo e un prosecco. Ci alziamo, ci danno il prosecco, poi il cameriere sparisce e il tavolo per noi non compare. Aspettiamo, chiediamo, il cameriere ci indica un tavolo dove c’erano avventori che aspettavano il dolce. Non so quanto siamo rimasti lì, alla fine ce ne siamo andati e il mio ragazzo osserva “se non eri con me mangiavi”. Aveva ragione».
La dottoressa non ricostruisce quindi una discriminazione clamorosa, il gesto violento: ricostruisce un atteggiamento più sottile, che pervade momenti quotidiani in forma subdola, spesso con atteggiamenti inconsapevoli ma che non per questo non feriscono. Tanto da far vacillare eventuali decisioni sul futuro. «Un figlio? Non so, non è il momento giusto per nascere nero».
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