Uccise 13 migranti solo per divertirsi. Ecco l'aguzzino dei campi libici
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Uccise 13 migranti solo per divertirsi. Ecco l'aguzzino dei campi libici

Si chiama Osman Matammud, somalo. Condannato all'ergastolo dalla Corte d'Assisi di Milano grazie alle testimonianze dei sopravvissuti, che sono racconti dell'orrore. Stupri, pestaggi, omicidi

Osman Matammud
Osman Matammud
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1 Dicembre 2017 - 16.21


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“Ci legava i piedi con il fil di ferro e ci teneva a testa in giù. E se urlavi, ti metteva la sabbia in bocca”. E ancora: “Pestava alcuni di noi a caso, solo per il gusto di farci terrorizzare. Picchiava con le spranghe i più giovani. Fino ad ammazzarli”. “Usava l’elettricità, ci attaccava i fili ai piedi. Ai maschi mettevano sul dorso nudo dei sacchetti di plastica cui davano fuoco.”. “Mi ha stuprato anche se sono infibulata. Dal dolore sono svenuta”. “Ci trattava come schiavi. Godeva nelll’umiliarci, ferirci, farci male”.
Queste sono le testimonianze rilasciate in aula a Milano da una serie di migranti scampati all’inferno libico. Questa è una storia terribile. La storia di Osman Matammud detto Ismail, somalo di 22 anni, che è stato uno degli aguzzini del campo libico di Bani Whalid. Condannato all’ergastolo per 13 omicidi dalla Corte d’Appello di Milano. A Milano, questo essere immondo, fu arrestato lo scorso 3 aprile mentre bazzicava, come se nulla fosse, dalle parti della Stazione, nei pressi del centro per richiedenti asilo di via Sammartini. Impunito, arrogante fino alla fine.

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A riconoscerlo alcune sue vittime, due minorenni. Poi l’arresto, il processo e oggi le motivazioni della sentenza dei giudici della Corte d’Assisi. Per i quali Osman Matammud ha agito “per fare più male possibile” alle decine di suoi prigionieri del campo libico dgiudici hanno sottolineato che la morte dei migranti nel campo di detenzione in Libia non rappresentava per Matammud “alcuno svantaggio, ed anzi veniva da lui utilizzata come monito e pressione sugli altri reclusi”, in attesa di ricevere il denaro per pagare il ‘barcone’ che li avrebbe portati in Europa. La Corte ha ricostruito, poi, le violenze compiute dal 22enne nei confronti di due prigionieri, “picchiati dall’imputato con una spranga di ferro fino a che avevano iniziato a rantolare, e poi ancora fuori dal capannone fino a quando non erano cessate le urla”. Della loro morte, si legge, è responsabile Matammud in quando “l’azione lesiva” del suo comportamento era tale “da rendere “prevedibile e voluto il decesso delle vittime”.
Le testimonianze che lo hanno incastrato sono insopportabili anche da scrivere. Favasal Caabi Shafici, uno dei cinque ragazzi di via Sammartini che ha riconosciuto Ismail, è stato nel campo libico due mesi, a febbraio e marzo dell’anno scorso: «Venivo picchiato e torturato tutti i giorni anche se i miei genitori avevano pagato. Era un sadico, gli piaceva fare del male. Venivamo picchiati con calci e pugni, con delle sbarre di ferro e dei bastoni. Una volta Ismail mi ha dato tante botte sul petto con un bastone che ho iniziato a vomitare sangue. Altre volte venivo immobilizzato in piedi con i polsi legati con delle corde. Ismail mi metteva le pinze sul petto e poi faceva partire la corrente elettrica». Una ragazza ha invece raccontato: “«Ismail è venuto e mi ha stracciato il vestito davanti a tutti. Quando sono rimasta nuda ha cercato di penetrarmi ma non ci è riuscito perchè sono infibulata… Dal dolore sono svenuta, quando mi sono svegliata mi aveva già violentato perché avevo sangue dappertutto”.

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