Centri antiviolenza, 160 preziosi avamposti in Italia che salvano la vita e la dignità delle donne
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Centri antiviolenza, 160 preziosi avamposti in Italia che salvano la vita e la dignità delle donne

Ogni centro promuove interventi di prevenzione, formazione e sensibilizzazione intervenendo attivamente per il cambiamento della cultura che è alla base della violenza maschile contro le donne

Scarpe rosse- segno della lotta contro la violenza maschile sulle donne
Scarpe rosse- segno della lotta contro la violenza maschile sulle donne
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23 Novembre 2017 - 09.02


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I Centri Antiviolenza – attivi da oltre vent’anni nel nostro Paese – sono spazi autonomi gestiti da organizzazioni di donne che accolgono donne di tutte le età che hanno subito violenza o che si sentono minacciate e sostengono i singoli percorsi di fuoriuscita dalla violenza. Lo fanno attraverso l’accoglienza telefonica, i colloqui personali, l’ospitalità in case rifugio. Presenti su tutto il territorio nazionale, svolgono un’attività preziosa a sostegno delle donne maltrattate, lavorando anche a livello di formazione, prevenzione e sensibilizzazione culturale. Qui è possibile trovare una mappa con tutti i 160 Centri presenti in Italia, da nord a sud: avamposti per difendere le donne in pericolo.

Lella Palladino, esperta in tematiche di genere, il 24 settembre 2017 è stata nominata presidente dell’associazione nazionale D.i.Re (Donne in rete contro la violenza), realtà che raccoglie in un unico progetto oltre 80 organizzazioni di donne che affrontano il tema della violenza maschile sulle donne secondo l’ottica della differenza di genere.

«Il nostro obiettivo principale – afferma Palladino, ha detto nella relazione al convegno internazionale “Affrontare la violenza sulle donne” organizzato da Erickson a Rimini ad – è attivare processi di trasformazione culturale e intervenire sulle dinamiche strutturali da cui origina la violenza maschile sulle donne. Garantiamo alle donne che si rivolgono a noi riservatezza e anonimato e offriamo ascolto, accoglienza, supporto psicologico individuale o in gruppo, anche tramite gruppi di auto-mutuo aiuto, consulenza legale, supporto ai minori vittime di violenza assistita, orientamento al lavoro e all’autonomia abitativa».

Ogni centro promuove interventi di prevenzione, formazione e sensibilizzazione intervenendo attivamente per il cambiamento della cultura e delle convenzioni sociali che sono alla base della violenza maschile contro le donne. «Disponendo di pochissime risorse economiche – prosegue Palladino – non tutti i centri sono aperti 24 ore su 24 e riescono a garantire la reperibilità sull’emergenza, ma rappresentano la risposta più efficace alla violenza se pur in maniera disomogenea sul territorio. Anche se la situazione sta cambiando, i nostri centri restano più numerosi nelle regioni del centro nord rispetto a quelle del sud».

Ma chi sono le donne che si rivolgono ai Centri Antiviolenza? Sono donne di ogni tipo e provenienza socioculturale, sia nate in Italia che migranti, di tutte le età con o senza figli. “Questo – riflette la presidente di D.i.Re – conferma ancora una volta la trasversalità del fenomeno. Le donne arrivano ai Centri spontaneamente o su invio del 1522 – il numero governativo contro la violenza di genere – della rete territoriale dei servizi socio-sanitari o delle forze dell’ordine. Alla nostra rete si rivolgono più di 16.000 donne l’anno, ma non è facile disporre di dati esaustivi e realmente rappresentativi. Nel nostro Paese bisogna lavorare ancora molto, soprattutto a livello istituzionale, per sensibilizzare sul tema della violenza maschile contro le donne. Da una parte, negli ultimi anni, si è finalmente rotto il silenzio che ha negato per lungo tempo l’esistenza di questo problema strutturale nella nostra società. Nonostante tutto, però, la narrazione della violenza è ancora permeata da distorsioni e strumentalizzazioni.

«Bisogna continuare a insistere perché finalmente si metta in connessione la violenza contro le donne con l’asimmetria di potere tra i generi ancora presente, con le dimensioni di potere e controllo esercitate in famiglia sui corpi e i destini delle donne, con le discriminazioni che attraversano la vita delle donne in tutti i contesti relazionali e di lavoro», conclude Lella Palladino. «Basterebbe realmente recepire e attuare la Convenzione di Istanbul». 

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