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“Signor Presidente, io sono solo un quinta elementare….”. Una pacchiana camicia verde sotto una giacca a quadri, Totò Riina si fece piccolo, piccolo davanti alla Corte, l’ennesima Corte che lo avrebbe condannato all’ennesimo ergastolo. Il piccolo uomo che rivendicava un sostanziale analfabetismo è morto mettendo in bilancio, in attivo, gli attacchi più cruenti alla democrazia ma anche, in passivo, le sconfitte più forti determinate dalle risposte che lo Stato e la società civile hanno saputo dare alla strategia mafiosa delle stragi. Sangue e ancora sangue, come aveva voluto Riina, seduto a capo di Cosa Nostra. Dopo Provenzano, Riina. Mentre Matteo Messina Denaro rimane un’ombra, che soffre dell’accerchiamento ai suoi capitali, comunque intestati. Ma resiste, libero. Con la morte di Totò Riina, c’è chi può regalarsi un sospiro di sollievo. Quello sciagurato passaggio della storia d’Italia segnata dalla trattativa tra lo Stato e la mafia è tutto da scrivere. Non presunta trattativa, come pure continuano a dire ( ispirati da un eccesso di garantismo ) anche diversi giornalisti. Una sentenza dice che la trattativa tra Stato e mafia c’è stata. Resta da dare un volto – e questo non sarà facile – ai protagonisti di quella trattativa, o meglio agli attori di uno dei due fronti di quella trattativa, quello che parlava per conto dello Stato. A quel passaggio della storia del Paese c’è chi ha lavorato, c’è chi lavora senza risparmio. Tra mille ostacoli, seguito da trame che tendono a vanificare i passi in avanti della giustizia verso la verità. Chi ha trattato con lo Stato appartiene a quella stretta cerchia di “menti raffinatissime” di cui parlò Falcone quando scampò ad un primo attentato, all’Addaura. I “quinta elementare” se ne vanno, anche qualche mente raffinatissima ci ha lasciato, restano in vita e tramano tra di noi altre menti capaci di tessere una tela del ragno che avrebbe potuto soffocare la democrazia. Sepolto il “quinta elementare”, la ricerca deve puntare a chi ha tirato un sospiro di sollievo alla notizia della morte di Riina. I grandi crimini lasciano tracce, occorre trovarle. Come dire, trovare la sagoma della scarpa sul luogo del delitto per risalire al possessore della scarpa. Riina avrà un successore? Può essere Matteo Messina Denaro, che resta latitante fruendo, probabilmente, come Riina, di insospettabili complicità? Vedremo. Certo, i candidati alla successione dovranno dimostrare forza e capacità di reazione, sia sul versante degli affari e delle collusioni sia su quello della violenza. Per capire chi prenderà il posto di Riina nella provincia di Palermo e le conseguenze che questo avrà nei rapporti con Matteo Messina Denaro e con gli altri assetti di Cosa nostra in Sicilia pare si debba guardare ai cosiddetti “fine pena”, meno prosaicamente agli “scarcerati”.
Non sono pochi i boss candidati. Tre nomi per far capire la portata dello scontro a cui dobbiamo prepararci: Giovanni Grizzaffi, di Corleone, denominato “il messia”, un boss che gode dell’investitura dello stesso Riina. E’ già in libertà e la sua presenza sul territorio si farà sentire per evitare che sui corleonesi si spengano le luci della storia di Cosa nostra e la ricchezza del capo dei capi vada in fumo. Un altro nome eccellente è quello di Pino Scaduto, storico boss di Bagheria, da sempre indicato come uno dei possibili capi in grado di organizzare una struttura unitaria e capace di far riprendere con la cocaina un ruolo più adeguato a Cosa nostra nel rapporto con la ‘Ndrangheta. Infine, c’è Giulio Caporrimo, pure lui in libertà e a capo del mandamento palermitano di San Lorenzo, più volte chiamato a svolgere un ruolo di raccordo tra i vari mandamenti. Un trio maledetto su cui bisogna prestare molta attenzione e provare a colpire per tempo.
L’elenco dei capomafia in grado di rilanciare Cosa nostra dopo Riina non si ferma ai tre che Lumia. L’elenco è lungo e non c’è un boss che può essere sottovalutato. La partita continua.