Feltri il razzista: non vado in Sicilia figuriamoci se vado nel Burkina Faso
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Feltri il razzista: non vado in Sicilia figuriamoci se vado nel Burkina Faso

Lo spacciatore di odio e notizie falso associa l'isola a quanto di più sgradevole può accadere come incrociare quelli che portano malaria e piattole.

Vittorio Feltri
Vittorio Feltri
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7 Settembre 2017 - 19.09


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di Tancredi Omodei
“Io non vado neanche in Sicilia, e ti pare che vado in Burkina Faso?”. Vittorio Feltri, giornalista con la puzza sotto il naso da sempre, che non sopporta l’odore degli africani e – a quanto pare – anche dei siciliani, che sono un po’ africani, si esprime così, intervistato da Cruciani, a “Radio24”, quella radio della Confindustria che si butta su tutto quanto fa monnezza e osceno. Tanto, la fascia protetta, la famosa fascia protetta, funziona così: “La Zanzara” è zona franca, se un millesimo di quel che viene vomitato in quella trasmissione venisse accennato in un canale tv, o anche radio, del servizio pubblico, farebbe scandalo. Ma torniamo a Vittorio Feltri da Bergamo, quello che si vanta di non essere mai andato in Sicilia, associando l’Isola a quanto di più sgradevole può accadere ad uno come lui, tipo incrociare quelli che portano malaria e piattole.
Feltri oggi era in gran forma, per esistere ne ha sparate tante, prendendo per cretino ciascuno di noi che ha un pensiero diverso dal suo. Lui si guarda allo specchio e le spara, stretto sotto panni finto british. Si, perché sotto i consueti panni finto british di Vittorio Feltri, c’è una delle tante espressioni della peggiore Italia. Da Vacchi a Feltri in fondo c’è un filo rosso resistente che strada facendo unisce tanti altri di un campionario italico poco invidiabile. Feltri ha sempre pensato, con disprezzo per gli altri, di essere il più intelligente e il più libero. In realtà di Libero ha solo un giornale che – come si direbbe in Sicilia, quella Sicilia che Feltri evita con attenzione e con ostentato schifo – un giornale dicevo, del quale in Sicilia si direbbe che “non è buono neanche per incartarci il pesce”. Così come facevano, un tempo, i venditori di pesce in Sicilia.
Peccato che Vittorio Feltri eviti la Sicilia, attraversare l’umanità che l’abita forse potrebbe cambiarlo – non è mai troppo tardi – forse lo renderebbe meno banalmente provocatorio e veramente arguto, magari un po’. Gli darebbe spessore allo stomaco per sopportare le immagini forti che la vita ci riserva, e profondità di pensiero che potrebbe distillare e passare in redazione. Certo, rischieremmo di perdere il Feltri che conosciamo e dobbiamo ascoltare di tanto in tanto, per dargli l’ok che esiste.
Per il resto, poco vale ricordargli cos’è la Sicilia, cosa i siciliani ( a meno che domattina voglia dare a tutti loro del mafioso ); ricordargli alcuni nomi che hanno fatto il bello di questo Paese, sbattergli in faccia l’elenco dei nomi di chi non c’è più per salvare la democrazia, quella che dalla costa più bassa del Paese arriva e supera la sua Bergamo. Ma a che vale. Lasciamolo così, convinto della sua superiorità. Vacchi balla, lui blatera.

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