Morcone: dopo Parigi non si accelera su hotspot e identificazioni
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Morcone: dopo Parigi non si accelera su hotspot e identificazioni

Prima di far partire tutti i centri l’Italia aspetterà che sia definito il piano dei ricollocamenti perché dopo gli attentati molti paesi si stanno tirando indietro.

Morcone: dopo Parigi non si accelera su hotspot e identificazioni
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23 Novembre 2015 - 16.38


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Nessuna accelerazione sugli hotspot, nessuna stretta sulle identificazioni. Gli attentati terroristici di Parigi non cambiano l’atteggiamento dell’Italia rispetto all’apertura dei centri di smistamento dei profughi che arrivano nel nostro paese. I cinque hotspot, dove secondo gli accordi europei dovrebbe avvenire la prima identificazione e distinzione tra richiedenti protezione internazionale e irregolari. La loro apertura era prevista per fine novembre ma per ora è attivo solo il centro di Lampedusa. Gli altri (Pozzallo, Trapani, Taranto e Augusta) non partiranno fin quando non sarà deciso al dettaglio il piano di re location e non si definirà come operare i rimpatri nei paesi di origine. Dopo gli attacchi in Francia, infatti, molti paesi si stanno tirando indietro rispetto alla disponibilità accogliere i richiedenti asilo. A sottolinearlo in questa intervista a Redattore sociale è il prefetto Mario Morcone, capo del Dipartimento libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno, che invita anche a non operare facili semplificazioni tra terrorismo e immigrazione: “Molti dei rifugiati che arrivano nei nostri paesi fuggono dall’incubo del terrorismo, e questo andrebbe ricordato. Confondere i due piani è davvero una vigliaccata”.

Secondo alcune notizie che circolano in queste ore, due degli attentatori di Parigi sarebbe transitati in alcuni paesi europei. C’è il sospetto che siano passati anche per l’Italia. Che tipo di informazioni ha il ministero al riguardo?
Per le notizie in nostro possesso, si parla di persone che sarebbero passate per Bari, dove erano giunte col traghetto. Stiamo verificando. Si tratterebbe comunque di persone venute regolarmente in Italia con un loro passaporto, e che non c’entrano niente con i migranti né con i flussi. Né tantomeno con i rifugiati che stanno in mezzo al freddo dei Balcani o che arrivano a Lampedusa.

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Dopo gli attentati a Parigi, però, si ricomincia a parlare del rischio di infiltrazioni terroristiche in mezzo ai profughi che giungono anche nel nostro paese. Si può dire che questo è una preoccupazione infondata?
Io dal primo momento sto ripetendo che per noi non esiste nessuna connessione specifica tra migrazione, rifugiati e terrorismo. Il terrorismo è costituito da una banda di assassini che possono utilizzare gli ingenti mezzi che hanno a disposizione, tra cui anche passaporti falsi. Ma, ripeto, non hanno niente a che fare con la migrazione delle tante povere persone che stanno vivendo in condizioni molto difficili nei Balcani o che sono nei campi. Molti dei rifugiati che arrivano nei nostri paesi fuggono dall’incubo del terrorismo, e questo andrebbe ricordato. Confondere i due piani è davvero una vigliaccata.

L’Europa continua a chiedere un’accelerazione sull’apertura degli hotspot e una stretta sulle identificazioni di chi transita nel nostro paese. In particolare, i cinque siti individuati in Italia dovevano essere pronti entro novembre, ma per ora è attivo solo il centro di Lampedusa. Dopo Parigi cosa cambia, si provvederà con l’apertura imminente di tutti gli hotspot?
Su questo non si è deciso ancora nulla. La commissione europea insiste sulla necessità di attivare gli impegni che erano stati presi. Noi rispettiamo gli impegni ma lo facciamo complessivamente, quindi aspettiamo che funzioni anche la relocation che era stata prevista. Le persone riallocate dall’Italia finora sono poche. Da una parte perché, per fortuna, sono diminuiti gli sbarchi in questo periodo, ma anche perché abbiamo meno disponibilità. La vicenda di Parigi ha creato preoccupazione e prodotto una frenata sulle ricollocazioni Non credo che abbia compromesso gli accordi, ma una frenata c’è stata, non possiamo negarlo.

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Alcuni paesi, cioè, si stanno tirando indietro rispetto alla disponibilità di accogliere i profughi?
Sì, c’è poca disponibilità.

Di conseguenza, non c’è una data, gli altri hotspot partiranno solo quando si decide al dettaglio sia il piano di relocation sia come operare i rimpatri?
Esattamente, non partono finché non si avvia processo di relocation e di ritorno nei paesi di origine per coloro che non hanno diritto a restare nel nostro paese.

Alcune associazioni, però, hanno denunciato negli ultimi mesi una stretta sulle identificazioni. In particolare a Pozzallo, alcuni operatori riferiscono di una lista di paesi sicuri in base alla quale la polizia starebbe operando la distinzione tra richiedenti protezione internazionale e migranti irregolari.
Assolutamente no. Non abbiamo mai accettato l’idea e la prassi dei paesi sicuri e quindi non esiste un atteggiamento di questo tipo. Mi sento di smentire questa notizia.

Oltre ai richiedenti protezione, ci sono i cosiddetti “migranti economici”. Da tempo si parla di riaprire canali legali anche per chi arriva in cerca di lavoro. Ci può confermare che si sta lavorando a un nuovo decreto flussi, molto più ampio di quelli stagionali pubblicati finora, per regolarizzare questo tipo di arrivi?
E’ una cosa di cui parliamo da tempo perché è necessario e urgente rimettere in piedi anche questo tipo di migrazione legale. Credo che questa sia una vicenda che nessuno può negare perché attraverso la migrazione legale si regola anche l’irregolarità. Nel senso che l’ irregolarità diminuisce in presenza di canali legali. Per ora, però, non si sta muovendo nulla. E’ attivo un tavolo di interlocuzione con i sindacati. E ci auguriamo che in futuro sia possibile pnesare anche a questo. (ec)

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