Cardinal Scola: anche le famiglie aprano le porte ai rifugiati
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Cardinal Scola: anche le famiglie aprano le porte ai rifugiati

Secondo il porporato: l'accoglienza è compito di tutti, non solo delle istituzioni. Rinnovo l'appello alle parrocchie ad aprire le porte.

Cardinal Scola: anche le famiglie aprano le porte ai rifugiati
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8 Settembre 2015 - 22.28


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L’Arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, parlando con i giornalisti dopo la Messa in Duomo con cui ha aperto l’anno pastorale ha detto: «Nella società plurale, dobbiamo sforzarci, nella libertà, di rigenerare un costume comune, proprio a partire dall’accoglienza di chi è in difficoltà, per esempio in questo momento dei profughi. Rinnovo l’appello alle parrocchie ad aprire le porte. E questo invito è rivolto anche alle singole famiglie, perché non esiste separazione tra singoli e chiesa. Ogni famiglia è parte della Chiesa. L’accoglienza è compito di tutti, non solo delle istituzioni».

Di fronte alle ondate di profughi che in approdano sui confini europei, il Cardinale ha anche precisato i compiti e i ruoli che spettano al mondo ecclesiale e quello politico: «La Chiesa deve fare la generosamente la prima accoglienza, nella logica del buon Sammaritano: ma non può fare molto di più anzi sta già facendo tanto, sostituendosi al welfare pubblico. Le istituzioni, invece, devono dare un risposta politica. E da questo punto di vista le ultime decisioni di alcuni governi, ad esempio di Germania, Francia e Austria sono molto importanti perché consentono di passare da una visione emergenziale ad una strutturale del problema. L’emigrazione cui assistiamo è un processo storico che riguarda milioni di persone nel mondo, non può essere ridotta a emergenza. I processi non si possono arrestare, ma vanno governati».

Nella nuova lettera pastorale ”Educarsi al pensiero di Cristo”, da oggi in distribuzione in tutte le librerie, il Cardinale ha parlato del legame tra carità e cultura. «Non è possibile aprire la casa ai profughi, visitare gli anziani in ospedale senza che affiori la domanda: ”perché lo faccio?”. La carità che non arriva a quella domanda è filantropia. Si tratta di far emerge da queste esperienza le ragioni, attraverso una lettura teologica della povertà».

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