Cinque anni di tragedie. Però la colpa è sempre di chi dice no al cemento
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Cinque anni di tragedie. Però la colpa è sempre di chi dice no al cemento

Mentre i governanti maltrattano gli ambientalisti, da sempre contrari alla scellerata cementificazione, nel Paese si annega per le colpe della politica. [Claudia Sarritzu]

Cinque anni di tragedie. Però la colpa è sempre di chi dice no al cemento
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17 Novembre 2014 - 16.06


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di Claudia Sarritzu

In cento anni, per colpa del dissesto idrogeologico, si contano 13mila persone tra feriti, dispersi e deceduti. E questo numero drammatico si spiega con altre due cifre difficili da digerire, per un Paese ormai in ginocchio, frustrato dalla crisi e dalla irresponsabilità della classe politica: l’82% del territorio nazionale che è a rischio dissesto, e i sei milioni di abitanti italiani che a ogni pioggia rischiano la vita.

La situazione drammatica è certificata da altri due numeri: l’anno scorso sono morte 24 persone, e il trend è in crescita. Più la politica accusa gli ambientalisti e le sovraintendenze di dire sempre no – e contemporaneamente fa “mea culpa” ipocriti raccontando bugie agli abitanti, su futuri interventi che non verranno mai compiuti – più le tragedie aumentano. I cittadini che risiedono in un’area a rischio per la loro incolumità sono aumentati in dieci anni del 5,1%.

Ma facciamo una panoramica più dettagliata degli edifici che rischiano maggiormente il crollo ogni volta che la pioggia è più insistente del solito. Fra le costruzioni più pericolanti troviamo gli edifici scolastici: L’Ance Cremse nel suo rapporto stima che su 64.800 scuole esattamente una su dieci (6.400) sono situate in zone a rischio alluvione. Non sono messe meglio le strutture sanitarie, se ne contano 500 insicure.

In settant’anni, dalla nascita della Repubblica italiana, i danni stimati si aggirano intorno ai 62miliardi di euro. Ma secondo Confartigianato il ministero dell’Ambiente (ministero bistrattato nel bel Paese, che invece assieme alla Cultura, dovrebbe essere uno dei pilastri portanti dell’economia) per la prevenzione ha stanziato solo 8,4miliardi, che stridono con i 22miliardi che servirebbero alle riparazioni di quello che è crollato negli ultimi dieci anni. E nonostante le false promesse del premier Renzi, che con volto contrito dà la sua inutile solidarietà alle vittime dei disastri causati dalla scellerata cementificazione dell’Italia repubblicana, nella legge di Stabilità approvata solo un mese fa, gli investimenti pubblici per contrastare il dissesto idrogeologico hanno il segno meno per il 2015 e 2016. Nel 2017 ci sarà un +0,6%. Cifre che farebbero infuriare qualsiasi popolo tranne quello italiano che continua a morire e a non ribellarsi.

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Facciamo un piccolo excursus storico degli ultimi cinque anni:

Partiamo dalla mia terra, la Sardegna, che proprio il 18 novembre celebra un triste anniversario, quello che ha visto 18 persone fra cui 4 bambini, uccisi, non, dal ciclone Cleopatra, ma dall’incuria dell’uomo. Il sindaco di Olbia come tutti gli altri sindaci sardi sapevano molto bene che alla prima forte pioggia sarebbe accaduto l’irreparabile. Giovanelli scrisse una lettera aperta su Panorama, ben due anni prima, chiedendo al governo Monti «al fine di evitare la perdita di vite umane» la concessione di una deroga del patto di stabilità per permettere a Olbia di usare 27 milioni di euro per mettere in sicurezza la città. Ma mentre la politica perdeva tempo, il meteo non ha risparmiato 2 terzi della comunità, coinvolta nella peggiore alluvione degli ultimi cento anni nell’Isola.

Nel 2011 a Senigallia l’alluvione si è portata via due persone. Il consigliere comunale Roberto Paradisi ha affermato che «a seguito della prima alluvione non è stato poi effettuato nessun intervento di rinforzo degli argini o di pulizia dell’alveo del fiume». Dunque potrà riaccadere.

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Poi recentemente Parma, che già dal 2011 si era mobilitata per risolvere il problema della piena del torrente Baganza. Si trattava di una cassa di espansione, progetto approvato dal comune e mai realizzato per mancanza di fondi. Ed ecco che a ottobre, 9 mila famiglie hanno visto le loro abitazioni sommerse da acqua e fango. Bastava che fossero stanziati gli appositi finanziamenti dal governo e dalla regione, sollecitati più volte con innumerevoli lettere inviate da politici locali, per affrontare la criticità senza far rischiare la vita agli abitanti.

E poi c’è Genova. Prima dell’alluvione che ha colpito la città in questi giorni, e dopo quella di tre anni fa, il mese scorso tutta la provincia era sotto due metri d’acqua, fango e detriti. L’incubo dei genovesi è ormai il Bisagno che anche stavolta ha causato alla Regione 250 milioni di danni per il pubblico, mentre i privati ne stimano 100 milioni solo per le attività commerciali. Anche questa volta si conta un morto. E le cause sono sempre le stesse: cementificazione selvaggia e mala gestione dell’assetto idrogeologico. Il tutto condito da un vergognoso sperpero di soldi pubblici per opere di risanamento mai concluse.

Riportiamo un elenco degli eventi più drammatici causati dal dissesto idrogeologico negli ultimi cinque anni: Nel 2009 a Messina una colata di detriti seppellisce abitazioni e automobili. Nel 2010 è il turno della costiera Amalfitana, esonda il torrente Dragone che scorre al di sotto del centro abitato. Sempre lo stesso anno viene travolta dall’acqua Genova e provincia. Ancora il Veneto, 200.000 animali deceduti, 500.000 persone interessate, 140 km² direttamente allagati. Oltre 1 miliardo di euro di danni. Nel 2011 tocca alle Marche e all’Emilia Romagna, muoiono padre e figlia, travolte con la loro auto dall’acqua. A Venarotta un’anziana donna perde la vita cadendo in un fosso in piena. Altre due persone muoiono rispettivamente a Cervia e Teramo, affogando all’interno delle loro auto bloccate in dei sottopassi allagati. A novembre 2011 nuovamente Genova: il Bisagno esce fuori dagli argini, un vero e proprio muro d’acqua alto un metro e mezzo spazza via lungo la strada centinaia di automobili, devastando negozi e primi piani delle abitazioni. Altri tue morti fra cui un bambino a Messina sempre a fine 2011, travolti dal fango a Scarcelli, frazione di Saponara. E poi Massa Carrara, numerose frane, 5000 abitazioni colpite e 300 sfollati. Nel 2013, come già accennato prima tocca alla Sardegna che perde 18 vite umane fra i comuni di Olbia, Nuoro, Uras, Bitti, Onanì, Torpè e alcune zone della Provincia dell’Ogliastrae del Medio Campidano. Nel 2014 è il turno della provincia di Modena e poi di Pisa, danni ingenti per fortuna un solo morto. Poi Lucca e soprattutto Refrontolo, muoiono in quattro tentando di salavre la propria auto. Nel Gargano si contano invece due decessi, in Maremma altri due morti, fino ad oggi , in cui si continua a perdere case, auto, la propria vita e addirittura la tomba su cui piangere i propri cari.

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Ma la colpa in questo Paese sembra essere di ambientalisti e sovraintendenze che bloccano le nuove costruzioni. Per fortuna esistono. Dovremmo ringraziare i loro No. Oggi conteremo ancora più vittime.

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