Non doversi procedere per prescrizione del reato: è questa la formula pronunciata dal giudice e con cui si è concluso il processo d’Appello [url”sulla vicenda dell’acquisto della casa di via del Fagutale”]http://www.globalist.es/Secure/Detail_News_Display?ID=57817&typeb=0[/url], con vista sul Colosseo, in cui era imputato l’ex ministro allo Sviluppo Ecnomico Claudio “a sua insaputa” Scajola.
Nel processo era anche imputato l’imprenditore Diego Anemone, che secondo quanto emerso dall’inchiesta, era stato accusato di aver contribuito con cospicue donazioni all’acquisto dell’appartamento avvenuto nel 2004. Secondo l’accusa, infatti, l’imprenditore avrebbe pagato, attraverso l’architetto Angelo Zampolini, parte (circa 1,1 milioni di euro su 1,7 milioni) della somma versata nel luglio del 2004 da Scajola per acquistare l’immobile e avrebbe poi dato centomila euro per i lavori di ristrutturazione dell’appartamento.
Oggi per un difetto di notifica la sua posizione è stata stralciata dal fascicolo principale.
Dopo la richiesta di condanna sono intervenuti nella discussione gli avvocati Giorgio Perroni ed Elisabetta Busuito per sostenere l’insussistenza delle accuse contestate e quindi sollecitando la piena assoluzione, come era avvenuto in primo grado. In primo grado la procura aveva chiesto tre anni e due mesi di reclusione per l’ex ministro e due milioni di multa. Qualche mese fa l’ex ministro era stato assolto da ogni accusa: Scajola “era inconsapevole che l’imprenditore Diego Anemone avesse concordato tempo prima con le sorelle Papa, proprietarie dell’immobile, le modalità dell’ulteriore pagamento”, dunque “non si è trovato nelle condizioni di conoscere il maggior prezzo di acquisto dell’immobile”, si leggeva nella sentenza di primo grado.