Giovanni Michelotti se n’è andato mercoledì 22 ottobre a 90 anni per un malore improvviso all’ora di pranzo, mentre parlava con un amico nella sua San Marino. Era un omone grande e grosso, aveva l’aspetto burbero ma gli occhi chiari e lo sguardo gentile. Sul Titano lo conoscevano tutti. Era un personaggio affascinante e aveva molte storie da raccontare: da quelle politiche a quelle sportive e televisive. Per me è stato uno dei più preziosi testimoni del libro “Gli intrighi di una Repubblica – San Marino e Romagna, 80 anni di storia raccontata dai protagonisti”, che ho pubblicato nel 2012 con Pendragon.
Il rimpatrio degli emigrati Usa, la sconfitta Dc e il colpo di Stato Usa.Di famiglia democristiana, nell’immediato dopoguerra, quando a San Marino comandavano “i rossi”, era dovuto emigrare in America. Nel 1955, quando la Dc sembrava avere la vittoria in tasca, gli fu chiesto di organizzare il rimpatrio della forte comunità sammarinese negli Stati Uniti per sconfiggere nelle urne, dopo 10 anni di inutili tentativi, il governo social-comunista che a dispetto dell’embargo economico dell’Italia e della pressione politica dell’Amministrazione americana – che non sopportava una enclave comunista nel cuore dell’Occidente in piena Guerra Fredda – continuava a vincere tutte le elezioni. Michelotti organizzò un charter di emigrati elettori democristiani, li portò a votare a San Marino, ma la Dc perse clamorosamente e le sinistre rimasero al potere.
Il governo social-comunista sarebbe poi stato rovesciato due anni dopo, nell’autunno del 1957, ma solo grazie a un quasi colpo di stato organizzato da Dc, governo italiano e Usa che prima fecero chiudere la frontiera con i blindati e poi insediarono quello che Sergio Zavoli definì “il più fantasma dei governi fantoccio” in quel di Rovereta, in un capannone al confine tra Italia e San Marino.
“Quando arrivammo per le elezioni del 1955 – mi aveva raccontato Michelotti – a San Marino ci accolsero con gli striscioni e un tifo da stadio: fu una festa. Ma nelle urne la Dc fu clamorosamente sconfitta. Per noi fu una mazzata, una delusione tremenda. Dopo, il partito non ci pagava più nemmeno il viaggio per tornare in America. Feci il diavolo a quattro con la Dc. Era meglio se non tornavamo, dissi a Federico Bigi, che era il capo dei democristiani sammarinesi. Qualcuno allora si mosse con Roma. Dopo qualche giorno ci dissero che dovevamo partire per la capitale. Ci ospitarono in una struttura del Vaticano in via delle Botteghe Oscure, a due passi dalla sede del Pci: la beffa finale. Dovemmo rimanere fermi lì un mese intero prima di poter ripartire per gli Stati Uniti. Che storia triste. Che errore che feci ad accettare. E’ stata la più brutta esperienza della mia vita”.
Il rientro a San Marino e l’incontro con Torriani.Qualche anno dopo, quando la Dc va al potere, Giovanni Michelotti rientra a San Marino. Ma non si occupa più di politica. Alla fine degli anni Cinquanta incontra Vincenzo Torriani, patron del Giro d’Italia. C’è da organizzare l’arrivo di una tappa sul monte Titano e Torriani rimane impressionato da quell’omone e dalle sue doti organizzative. La manifestazione è un successo e al termine chiede a Michelotti di andare a lavorare con lui. Giovanni accetta e per un quanto di secolo sarà il suo vice nell’organizzazione del Giro, oltre che il vero “deus ex machina” della Gazzetta dello Sport per l’organizzazione dei grandi eventi sportivi.
Oltre alla Corsa Rosa, tra gli anni Settanta e Ottanta organizza importanti manifestazioni ciclistiche internazionali, tra cui il primo Giro d’Europa nel 1973, l’arrivo nel 1978 di una cronometro a Venezia, in Piazza San Marco, su un ponte di barche, diverse “Sei giorni” e, nell’85, i mondiali su strada di Montello, in Veneto.
Carattere forte, persona vera, diretta e competente, dai ciclisti Michelotti è considerato una sorta di “sceriffo”: un duro ma dall’animo buono. Quando va in pensione torna nella sua San Marino, dove mantiene il legame con lo sport e, soprattutto, un forte rapporto di amicizia con Sergio Zavoli che negli anni Ottanta, quando diventa presidente della Rai, lo chiama a collaborare con lui per le tv.
La collaborazione con Zavoli e gli affari sporchi delle Tv.“Lo aiutai a concludere l’acquisto di Tele Montecarlo – mi raccontò tra l’altro Michelotti- e successivamente fui io a convincere Sergio ad accettare la presidenza di RTV, la radiotelevisione di Stato di San Marino. E fui sempre io, dietro suo incarico, a cercargli il network nazionale che poteva fare avere le frequenze alla Tv per poter trasmettere anche nell’Italia centro-settentrionale. Condussi le trattative con un consorzio milanese, raggiunsi un accordo di massima, l’affare si poteva concludere con 3 miliardi di vecchie lire. Mancava solo la firma. Ma all’ultimo i governanti democristiani e socialisti di San Marino fecero saltare tutto. Salvo poi rilevarono alcune frequenze sub-regionali da un editore delle tv locali, pagandole 5 miliardi di lire. Indovini dove sono i finiti i 2 miliardi di differenza. ‘Loro’ tutti gli affari li facevano così: se non c’era in mezzo ‘la cosa’, non si concludevano”.
“Zavoli si infuriò. Ebbe un colloquio burrascoso con il capo della Dc sammarinese. Poi si dimise e lo stesso feci anch’io. Da quella volta lì ho cominciato a non voler più bene a San Marino. Perché è un assurdo che si continui così, con questa gente. Persone che non fanno niente se non prendono la parte”.
Dagli affari sulla televisione al paradiso fiscale: il declino del Titano.La Tv di Stato rimase così un colosso dai piedi d’argilla: una sede nel palazzo più prestigioso della Repubblica (il Kursal), attrezzature e tecnologie all’avanguardia, ma frequenze da tv di paese. In altre parole, un’astronave galattica che però non riusciva ad arrivare più in là di Rimini. E che finì inevitabilmente per produrre un buco finanziario spaventoso. Per trovare i soldi per ripianarlo, il governo di San Marino ebbe la bella pensata di concedere a un gruppo di imprenditori la concessione per aprire una nuova banca. Nel giro di pochi anni le banche del Titano passarono da 4 a 12, con in più 25 società finanziarie. E San Marino diventò il paradiso fiscale e la Repubblica del malaffare che sappiamo.
Negli ultimi anni un rapporto della commissione antimafia ha fatto i nomi e i cognomi di chi reggeva quel sistema di potere e gli intrecci tra affari e politica: i responsabili del declino. E nelle ultime settimane alcuni di loro, capi storici della Dc e del Ps sammarinese, sono finiti in manette o indagati nelle inchieste sulla tangentopoli sammarinese, assieme ad altri esponenti dei nuovi partiti del centrosinistra.
Caro Giovanni, avevi visto giusto. Ora riposa in pace.