Perché io etero ho partecipato al gay pride

Difendere i diritti degli omosessuali significa difendere i diritti di tutti e aiutare questo paese ipocritca e tradizionalista a cambiare.

Perché io etero ho partecipato al gay pride
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9 Giugno 2014 - 17.00


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di Lorenza Valentini

“Guardateci bene. Guardateci il viso. Non è quello di chi chiede qualcosa, ma di chi sa cosa ci spetta di diritto. Non il viso di chi è stanco di lottare, ma quello di chi non si fermerà finché la storia non ci avrà dato ragione. Perché lo farà, di questo siamo certi. Perché la storia noi la facciamo tutti i giorni: in famiglia, a scuola, sul lavoro, in piazza. La facciamo sfidando i pregiudizi con l’intelligenza, la gioia, il coraggio. L’amore. Così sappiamo che arriverà un giorno in cui ogni diversità non sarà tollerata, ma celebrata. Ogni genere rispettato, ogni famiglia protetta, ogni individuo tutelato. E quel giorno no, non sarà solo bello poter dire “noi c’eravamo, ci siamo sempre stati”. Sarà molto di più. Sarà giusto. E sarà un vero orgoglio: il nostro”. [Roma Pride]

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C’è sempre qualcuno che mi dice “ma che ci vai a fare al Pride, tu mica sei lesbica”. E allora tu di nuovo con tanta pazienza mi metto a spiegare che non è che bisogna essere lesbica per andarci.

Perché la lotta per i diritti di tutte e tutti riguarda anche me. Anzi, in qualche modo riguarda soprattutto me, che quei diritti ce li ho come un dato acquisito, che non devo lottare ogni giorno per dire che io sono come sono, che non devo scontrarmi col pregiudizio, la violenza, l’isolamento.

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E mi riguarda non solo e non banalmente perché amo i miei amici e le mie amiche gay, ma perché io, eterosessuale bianca, europea, sposata, lavoratrice, considerata socialmente “normale”, non posso accettare in alcun modo che ci siano persone cui sono negati dei diritti in virtù dell’orientamento sessuale.

Viviamo in un paese in cui ancora si impedisce ad una coppia omosessuale di essere coppia “ufficialmente”, anche da un noioso (ma utile, penso ai mutui, alle successioni, agli assegni familiari, per dire) punto di vista burocratico.

Viviamo in un paese che nega le adozioni alle coppie gay in nome di niente altro che dell’omofobia, che nega a due persone che si amano di vivere la propria vita con serenità, che ritiene impossibile e “sbagliato” che una transessuale possa fare la maestra elementare o l’allenatrice di una squadra di nuoto. Ma ve la immaginate la scena? Insomma, se in un liceo di Roma le famiglie si ribellano perché alla loro povera prole innocente viene fatto leggere un libro in cui si parla di amore omosessuale, non oso pensare a cosa potrebbe succedere se quelle stesse famiglie si trovassero davanti una prof. di Greco transessuale.

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Viviamo, in definitiva, in un paese che vuole continuare a nascondere e a far nascondere tutto quello che non rientra nei suoi canoni cattolici, apostolici e romani. Un paese che inneggia alla “famiglia tradizionale” e che per questo nega diritti a chi ne è fuori, per scelta, per caso o per necessità.

Ecco, io in un paese così non ci voglio vivere e voglio fare quello che posso per cambiarlo. Per questo anche quest’anno sono andata al Pride. E per questo ci andrò l’anno prossimo e quello dopo, fino a quando in una calda giornata di Giugno non si chiederanno diritti, ma si festeggerà la vittoria.

Ah! Da ieri è in onda uno spot della Findus col primo coming out della pubblicità italiana. Essendo io malfidata di indole, penso a quanto ci metterà questo paese di bacchettoni, bigotti e omofobi a farlo cancellare dai palinsesti, ma nel frattempo Ora, io quei cosi non li mangerei mai, ma mi è venuta improvvisamente una gran voglia di sofficini.

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