L’Aquila delle cento chiese abbandonata come Pompei
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L’Aquila delle cento chiese abbandonata come Pompei

Uno dei centri storici più ricchi d’Italia lasciato marcire dopo i crolli del sisma. La ricostruzione vera iniziata solo nel 2012, spesso grazie a soldi stranieri. [Roberta Benvenuto]

L’Aquila delle cento chiese abbandonata come Pompei
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6 Aprile 2014 - 08.10


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di Roberta Benvenuto

Milleottocentoventisei giorni dopo il sisma che ha colpito l’Abruzzo, L’Aquila è ancora una città distrutta, con un centro storico svuotato. Tanti i cantieri aperti per il restauro dei beni culturali all’interno della “zona rossa”. Zona che però resta invalicabile al passo umano. L’Aquila oggi è un museo vuoto, un insieme di beni culturali senza vita. Sara Iafrate, restauratrice e aquilana, racconta i lavori di messa in sicurezza del patrimonio culturale della città: «L’emergenza è stata affrontata abbastanza bene, soprattutto grazie al lavoro dei volontari, me compresa, che quando c’erano ancora le scosse andavano a mettere in sicurezza i cantieri».

Dal punto di vista del recupero del patrimonio artistico, infatti, la vera ricostruzione è iniziata nel 2012, con il programma pluriennale 2013-2021 realizzato dalla Direzione regionale Bcp dell’Abruzzo: quattrocentottantacinque beni monumentali, per una spesa complessiva stimata di cinquecentottantacinque milioni.

Agli interventi effettuati grazie ai fondi Cipe, centocinquantacinque milioni di euro solo nel 2013, si aggiunge una lunga lista di restauri finanziati o co-finanziati da donatori, soprattutto esteri, come Palazzo Ardinghelli sovvenzionato dalla Federazione russa, San Pietro Apostolo a Onna, finanziato dal governo tedesco. Tra i restauri ultimati l’oratorio San Giuseppe dei Minimi (donazione del Governo del Kazakistan), Porta Napoli e la chiesa Madonna Fore (Fondazione Carispaq), la chiesa di San Giuseppe Artigiano (Fondazione Roma).

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Ad oggi, su centoventinove progetti presentati, sono centoventitré gli aggregati autorizzati ai lavori e centouno effettivamente in corso: ovvero il 78 per cento dei progetti presentati e l’82 per cento degli autorizzati. Più della metà sono nel centro.

La macchina del restauro è, dunque, in moto, mentre gli edifici dei privati e la riqualifica del centro abitato stentano a decollare. Come indica Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera: «A cinque anni dal terremoto che ha colpito L`Aquila e molti paesi limitrofi, oltre ad essere in ritardo sulla priorità della ricostruzione, siamo indietro anche sul fronte della prevenzione e dell’adozione di un piano nazionale di consolidamento antisismico degli edifici esistenti».

Angela Ciano, dell’ufficio stampa della soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici per l’Abruzzo, invece, spiega: «Abbiamo iniziato nel 2012 la ricostruzione del nostro patrimonio culturale. Contemporaneamente alla ricostruzione e al recupero dei monumenti, si sta finalmente parlando di valorizzazione, si stanno mettendo in campo delle idee di come fare in modo che questi monumenti, una volta restaurati, non diventino scatole vuote o comunque non vissute».

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Quello della mancata valorizzazione dei beni artistici è un problema tutto italiano. Ma in un centro abitativo come quello dell’Aquila, saccheggiato dalla sua funzione principale, ovvero dal suo essere luogo sociale, d’incontro, il problema si riempie di un ulteriore sottotesto: può il restauro dei beni aquilani essere volano di una rinascita sociale, nonché economica? Continua la giornalista: «Si fa un gran parlare del fatto che i nostri beni culturali sono il nostro tesoro, il nostro oro. Però di fatto si fa pochissimo perché vengano valorizzati e diventino miniera d’oro. L’Aquila fino al terremoto non faceva eccezione, il centro storico è uno dei più ricchi e preziosi dell’Italia».

Il problema rimane culturale. Sara Iafrate, raccontando la sua esperienza di restauro dei beni aquilani afferma: «Il terremoto in alcuni casi ha fatto meno danni dell’incuria secolare. È questo che manca in Italia, la visione a lunga durata e il concetto di tutela preventiva». Nonostante il nostro Paese sia il cuore mondiale in materia di scienza del restauro, non riesce a convertire la teoria in applicazione pratica, in sintagma di una più ampia visione culturale.

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Con lei anche Aspasia Formichetti, restauratrice romana trasferita all’Aquila: «Purtroppo in Italia il concetto della manutenzione annuale non è ancora un concetto radicato. Si tende prevalentemente e prettamente a svolgere un lavoro di grande restauro, quando è sempre troppo tardi per intervenire».

Il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, in occasione della conferenza stampa per la convenzione tra il Mibact e Finmeccanica sulla donazione di tecnologie al sito archeologico di Pompei, ha parlato, a proposito dell’Aquila, ancora in termini di emergenza. L’urgenza oggi è il non avere un programma di recupero del centro storico visto complessivamente, non come singoli monumenti. È come se il centro storico dell’Aquila non interessasse più. I suoi beni monumentali vengono restaurati come monadi, senza un progetto unitario di recupero del nucleo abitativo e sociale.

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