di Antonio Cipriani
Impazza nei commenti il retweet di un pezzo di Christian Raimo che con una sintesi eccellente definisce monnezza la fiction della Rai Gli anni spezzati. Tutto il mondo di chi socializza pensieri a righe brevi e sferzanti è abbastanza concorde nel definire davvero una schifezza questa operazione della Rai. Né storica, né revisionista: solo sciatta, mi sembra di capire.
Che così fosse era talmente ovvio che non serviva perdere tempo con il raccontino semplificato e a orecchio di fenomeni complessi e sostanzialmente sconosciuti. Narrati come usa adesso: a orecchio. Ma non il nobile “per sentito dire”, approssimato, che ha segnato decenni d’informazione: quell’orecchiare che affonda le sue radici culturali nel tempo in cui viviamo. Di monnezza fisica e metaforica. Di una rappresentazione banale perché così deve essere, a disegnini e quizzetti, a slogan e quadretti di buoni o cattivi propositi. Il tutto – e qui oltre all’orecchio serve anche altro – sull’onda lieve e protettiva di una bella sana mediocrità strutturale, fatta di lobby e lobbettine, di salotti e buone frequentazioni. Di tempo sottratto all’inutilità della conoscenza, a vantaggio dell’utilità e basta.
Perché il problema non è la Rai. O l’ignoranza di chi sceglie e di chi fa. Il problema è che questa monnezza è esattamente il giusto riscontro della mentalità che pervade il paese. Dove la volgarità sdoganata dai ricconi che governano è accompagnata da grettezza culturale mediatica. Dove quella che doveva essere un’opposizione a questa deriva si è ricavata uno spazietto di ironia intellettualina (e milionaria) da tv. E al massimo combatte la battaglia a suon di tweet carinetti.
Il tutto poggia su un buco nero della memoria, sulla mancanza di una verità condivisa su quello che è accaduto nel nostro Paese dal dopoguerra a oggi. Un filo rosso di sangue e di punti interrogativi. Non tanto sui manovali, quanto sui mandanti. Sui tessitori occulti che hanno destabilizzato l’ordine pubblico per stabilizzare ordine economico e politico, affossando ogni ipotesi di giustizia sociale alla luce di una modernità fatta di dimenticanze, ingiustizie e di amnesie.
Perciò, oggi, possono anche raccontare che l’aereo su Ustica è esploso per una bombola del gas o che Tognazzi era il capo delle Br. Che cambia? La devastazione lenta e conformista è totale: ha reso i ricchi più ricchi e i poveri più poveri e senza speranza; gli sfruttati non solo complici, ma elettori e sostenitori degli sfruttatori. Cancellando identità e dignità. E se serve qualcosa non è certo il tweettino ad effetto contro la Rai penosa. Serve la ricostruzione del coraggio e la volontà di mettere sui piedi la rivoluzione. Non su Facebook, sui piedi che poggiano a terra. Nei quartieri, sui posti di lavoro, nei paesi. Per non lasciare ai nostri figli un’eredità fatta di memoria caricaturale e di vocazione sociale alla piaggeria e al conformismo.