«Lo Stato non è necessitato a impegnarsi con ogni desiderio individuale o relazione, ma solo con quelle realtà che hanno rilevanza per il corpo sociale» ovvero «l’unione di un uomo e una donna come reciproca realizzazione e naturale cammino per la procreazione».
Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, nella prolusione che apre i lavori del Consiglio permanente della Conferenza Episcopale italiana, ha chiesto a tal proposito allo Stato di non «trasformarsi, sul piano giuridico, in una sorta di nobile notaio dei desideri, delle istanze e forse delle pretese dei singoli», con quello che appare come un implicito riferimento alle rivendicazioni in tema di convivenze e unioni gay.
Bagnasco ha messo in guardia contro «il virus dell’individualismo» definito come «una radice avvelenata, che non sempre è presa in debita considerazione», in un momento storico che «non è un’epoca di cambiamenti ma un cambiamento d’epoca».
Ecco allora che «la Storia ci insegna a essere avveduti, per saper discernere nei cambiamenti culturali e sociali ciò che è fondamentale e che quindi va custodito con cura», se si vuole evitare che «l’uomo stesso finisca per diventare “di sabbia”, una figura fluida, schiacciato dall’urgenza di farsi da sé, in una competizione continua, esercitata anche con “desideri, istanze, pretese», rivolte «sul piano giuridico» nei confronti dello Stato. Il capo dei vescovi italiani ribadisce che il matrimonio, inteso come «famiglia naturale» è «un patrimonio umano, un bene insostituibile e incomparabile, che deve essere custodito, culturalmente valorizzato e politicamente sostenuto», perché da esso «nasce un nuovo soggetto, stabilmente costituito, con doveri e diritti che lo Stato riconosce e per i quali si impegna a normative specifiche». Ecco perché «la famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e una donna, grembo della vita, è il centro che deve ispirare e muovere il Paese».
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