«Non ho paura, andrò avanti anche se dovessi restare da sola».La donna é minuta, ma si capisce subito che é una persona energica e determinata. È avvocato a Milano, ma il cuore le batte sempre per la Sicilia, terra del padre, «uomo che non si é mai arreso ai soprusi», ci tiene a ricordare. Per questo non si arrende.
Licata è una città di tradizioni marinare. Qualcosa é rimasto, tant’altro perduto. Il mare é il Mediterraneo, un tempo sinonimo di pesca, di lavoro duro passato da padre in figlio, perché i figli potessero mantenere le loro nuove famiglie.
Da queste parti, con dolore, la donna ha deciso che non ci verrà mai più. Ma prima di lasciare la Sicilia vuole che sia fatta giustizia. E non la fermano le minacce anonime alla figlia, tramite Facebook. È una tredicenne, violentata in una sera d’estate di una vacanza che doveva essere bella e all’insegna del ricordo delle radici.
Alla figlia hanno scritto: «Attenta a come parli, sennò ti scannu». Ti sgozzo se parli. La donna decisa ad ottenere giustizia racconta quel che é accaduto un mese addietro. Lo fa parlando con la redazione regionale di Repubblica.
Una vacanza nella casa del nonno per lei che é poco più di una bambina. Tredici anni, violentata da due giovani dei quali é noto il nome e il cognome. Nome e cognome dell’uno e dell’altro scritti sulla denuncia presentata poche ore dopo l’accaduto, con allegato il reperto dell’ospedale. Ma la giustizia é lenta, e non ha il passo indignato di una madre, anche lei violentata nella memoria di una terra che le ha dato la vita, affetti, emozioni. Terra rimasta punto di riferimento da trasmettere alla figlia che cresce. Invece é arrivato ‘incubo e la lesione insanabile. C’é una data, il 28 luglio. La figlia é uscita con amici. Alla fine della serata, quando è ora di rientrare, la comitiva si divide. La ragazzina e una coetanea accettano un passaggio da un ragazzo conosciuto in spiaggia, che é in compagnia del fratello, 17 e 23 anni. In campagna, prima di arrivare in città, la violenza. La coetanea della ragazzina riesce a fuggire, non lei. Il mattino dopo inizia la faticosa strada per raggiungere la giustizia.
La giustizia é lenta, tanta la solitudine. Lei, l’avvocato, é rimasta inorridita quando le hanno detto che queste cose qui succedono e pochi denunciano. Inorridita e indignata si é rivolta alle madri, alle altre madri, perché se é davvero così, infrangano questo silenzio.
«Abbiate il coraggio di denunciare…Non colpevolizzate le vostre figlie, abbracciatele, aiutatele, tiratele fuori da questi incubi, denunciate senza vergogna… È tempo di fermare queste violenze». La città discute, si divide, la solidarietà si esprime, come dire,con timidezza. «Nelle mie vene scorre sangue di quest’Isola – dice la donna – la mia denuncia non vuole infangare questa comunità. Spero di avere presto accanto a me le istituzioni della città».
Replica il sindaco: «Il dolore di questa madre ha il nostro sostegno, ma quanto é accaduto é un fatto isolato. Questa é una città sana… Qui non ci sono riti di iniziazione, come denuncia questa madre,se magistrati ed investigatori dovessero arrivare all’individuazione dei responsabili, chiederò al consiglio comunale la costituzione di parte civile contro di loro. Non si può discreditare una città che sta cercando di rinascere dal punto di vista sociale e culturale».
Un temporale “spezza” l’estate. Sulla spiaggia, la pioggia cancella le tracce dei bagnanti. Domani tornerà il sole, e l’estate più dolce, che da queste parti é quella della fine d’agosto e di settembre.