Una mamma si era lamentata con la preside di uno dei professori del figlio dicendo che era gay e che sul suo conto giravano alcune voci. È scattata così la condanna penale per diffamazione e quella al risarcimento dei danni morali patiti dal “prof” del quale si cerca di colpire la reputazione, con l’attribuzione di una “etichetta” sessuale, per vendicarsi dei richiami alla cattiva condotta del ragazzino.
Lo ha sottolineato la Cassazione, che ha condannato una mamma di Cagliari, la signora Simona P. di 38 anni, a 800 euro di multa. La donna in una telefonata a una collaboratrice scolastica dell’istituto frequentato da suo figlio aveva detto che il prof di inglese del ragazzino era un gay.
In un’altra telefonata alla preside, inoltre, Simona P. aveva rincarato la dose dicendo che il docente era «pedofilo, gay e maleducato». Senza successo la mamma cagliaritana ha provato ad evitare la condanna sostenendo in Cassazione di aver agito così per «la legittima difesa del proprio figlio minore verso il quale nutriva il timore che l’insegnante di inglese lo volesse abbracciare in quanto gay».
I supremi giudici non lo hanno ritenuto un giustificato motivo, e hanno confermato il “no” alla concessione delle attenuanti generiche. Respinto anche il tentativo di Simona P. di non essere dichiarata colpevole per via del fatto – a suo dire – di aver solo riferito voci circolate sulle preferenze sessuali del docente di inglese «in ambiente scolastico». Riportare simili “voci”, ha scritto la Cassazione, è un tipo di diffamazione «per nulla scriminata».
Anche la Procura della Suprema Corte, rappresentata dal sostituto procuratore generale Antonio Mura – lo stesso del processo Mediaset – aveva chiesto il rigetto del ricorso della donna che adesso dovrà risarcire il professore che «con molta rabbia» ha diffamato in maniera «continuata».