La decisione era presa da tempo. Questa è la voce che rimbalza subito dai sacri palazzi per motivare le clamorose dimissioni di Benedetto XVI. Comincia il direttore della Sala stampa vaticana padre Federico Lombardi davanti a decine di giornalisti: “è chiaro – dice – che non è una decisione improvvisata. Il Papa ha sempre avuto una continua attenzione per la sua capacità di svolgere al meglio il proprio ministero”. Nel pomeriggio l’Osservatore romano, attraverso una nota del direttore Gian Maria Vian, precisa ancora: “la decisione del Pontefice è stata presa da molti mesi, dopo il viaggio in Messico e a Cuba (nella Primavera del 2012, ndr), in un riserbo che nessuno ha potuto infrangere”.
Che alle dimissioni il Papa ci pensasse davvero e da tempo non è un fatto nuovo, lui stesso l’aveva detto. Eppure qualche crepa si apre nella sequenza di dichiarazioni della giornata. Intanto il fatto che all’inizio di gennaio era stato diffuso il calendario degli appuntamenti del Pontefice per i prossimi mesi, si arrivava fino ad aprile. Insomma: il segreto era davvero ben custodito o l’accumularsi delle tensioni e dei fattori critici, ha indotto ad accelerare i tempi della decisione? Ancora ieri il Vaticano ha poi ripetuto che “non c’è nessuna malattia particolare di cui soffre Benedetto XVI, ma solo il fatto che il Papa è molto stanco e in età avanzata”. Va detto che in questo senso i segnali si erano moltiplicati negli ultimi mesi. A Ratzinger venivano progressivamente diminuiti gli appuntamenti pubblici con le più diverse motivazioni. Nessuna visita ad una parrocchia romana per la quaresima, e anche le visite ‘ad limina’ – cioè gli incontri con gli episcopati nazionali che di solito si susseguono quasi tutto l’anno – erano già ridotti al minimo. Il Papa ha iniziato a incontrare i vescovi italiani in queste settimane, poi nient’altro era previsto. Il che fa pensare come da tempo i più stretti collaboratori del Pontefice, a cominciare dal nuovo prefetto della Casa pontifica e suo segretario personale, monsignor Georg Gaenswein , lavorassero in vista di questa soluzione. Quindi i viaggi. Il programma per il 2013 era ridotto praticamente all’osso, una trasferta sola e non sono riposante: la giornata mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro nel prossimo agosto. E già circolavano voci sulla possibili cancellazione del lungo volo.
E tuttavia non può essere tralasciata la serie di incidenti e fattori critici che si sono susseguiti senza sosta in questi otto anni fino agli ultimi giorni. Il Papa, sotto questo profilo, sembra aver voluto chiudere la vicenda penosa di ‘vatileaks’, cioè l’incredibile fuga di documenti riservati dal suo appartamento segnata anche dal tradimento di Paolo Gabriele, per poi lasciare l’incarico. Dal punto di vista politico non c’è dubbio che le dimissioni di Ratzinger arrivano al termine della lunga ed estenuante vicenda di questo scandalo che ha mostrato una curia vaticana divisa al suo interno, percorsa da lotte di potere, incapace di moderazione e di sacrificio. Che forse per salvare sé stesso ha nascosto almeno una parte della verità. Ancora ieri nei sacri palazzi venivano ricordate “la grande amarezza la sofferenza” causata al Papa dallo scandalo.
La vicenda degli abusi sessuali, inoltre, ha portato alla luce responsabilità spaventose delle più alte carche ecclesiastiche in giro per il mondo, fino all’ultimo episodio, quello di Lo Angeles, dove il vescovo in carica José Gomez, ha di fatto esautorato il suo predecessore, l’autorevole Roger Mahoney, che però è un cardinale e si è visto messo all’indice da un suo ‘inferiore’ nella scala gerarchica. Il che non è piaciuto di certo a molti cardinali. Ma la resistenza alla strada della ‘tolleranza zero’ proposta dal Papa ha incontrato una opposizione trasversale – ultraconservatori e progressisti di un tempo erano uniti su questa linea – e non è piaciuta a tanti membri della vecchia Curia. Il dualismo, poi, fra i wojtyliani come l’ex Segretario di Stato Angelo Sodano e il cardinale Leonardo Sandri (prefetto per le Chiesa orientali) da una parte, e la Segreteria di Stato di Tarcisio Bertone, è stato un altro elemento di permanente tensione. In generale si può dire che la vecchia guardia si è opposta a ogni procedimento di rinnovamento e pulizia, d’altro canto in questi anni è mancata anche una capacità forte di governo, una presa diplomatica sulla realtà, una visione precisa delle crisi politiche e sociali del nostro tempo.
Quando alla via Crucis del 2005, Ratzinger – poco prima della sua elezione – parlò della necessità di fare pulizia all’interno di una Chiesa che era sporcata dai suoi stessi membri, forse non immaginava quanto la cancrena fosse profonda, nonostante molti dei dossier più scottanti fossero finiti sul suo tavolo di prefetto della dottrina della Fede. Un profilo decisamente conservatore – il tentativo fallito di recuperare i lefebvriani ne è una prova indubitabile – si è associato, nel Papa tedesco, alla volontà, forse utopica, di operare una sorta di riformismo illuminato dall’alto; in tal modo ha provato a cambiare le strutture e i comportamenti. Non si può dire che il tentativo sia riuscito, anzi. E però la Chiesa, ora, non potrà fare a meno di misurarsi con questa sfida.