Vendita armi: all'Onu vincono gli interessi
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Vendita armi: all'Onu vincono gli interessi

Le armi non sono noccioline: alle Nazioni Unite passa un testo di facciata. La rete disarmo chiede un vero trattato vincolante. L'Italia difende le sue armi leggere.

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27 Luglio 2012 - 20.18


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Le notizie dai negoziati per la stesura e adozione di un Trattato sul commercio di armi, ormai terminati, non rendono soddisfatte le realtà del disarmo italiane. Le conclusioni non appaiono positive per le speranze di chi ha dato vita, dal 2003 alla campagna internazionale Control Arms che anche in Italia ha visto una mobilitazione stimolata dalla Rete Italiana per il Disarmo. Addirittura prese di posizione di alcuni Stati nelle settimane di colloqui arrivano a mettere in discussione l’elaborazione stessa di un trattato. Ad esempio Cina e Russia sarebbero a favore di un trattato “debole” se non addirittura per il mantenimento dell’attuale status quo. Gli Stati Uniti, da parte loro, avrebbero posto condizioni tali che depotenzierebbero il trattato e stanno esercitando pressioni su Francia e Regno Unito. “Non è un caso -sottolinea Emilio Emmolo di Archivio Disarmo (istituto di ricerca che ha recentemente pubblicato uno studio sulle ipotesi di Trattato)- che Londra e Parigi non siano tra i sostenitori di un documento firmato da 73 paesi in cui si chiede il massimo sforzo per un trattato con criteri rigorosi e che comprenda il divieto a trasferimenti qualora vi sia il rischio che le armi possano essere usate per violazioni di diritti umani”.

Di questo gruppo fa parte tra l’altro l’Italia (con una presa di posizione davvero positiva) che però, quasi in contraddizione, ha a sua volta chiesto di non inserire nel Trattato le armi leggere ma solo quelle ad esclusivo uso militare. “Come se quelle leggere -conclude Emmolo- non fossero utilizzate nei conflitti quando è universalmente riconosciuto il loro peso soprattutto nelle guerre africane”. “L’attuale fase tende alla stesura di un testo che trovi il consenso di alcuni paesi-chiave, come Stati Uniti, Cina, Russia, che hanno a lungo opposto l’introduzione di elementi cogenti nel testo del trattato.
Anche se si dovesse convergere su un compromesso di questo tipo, l’assenza reale di un dibattito e di proposte per introdurre un meccanismo o agenzia Onu incaricata della verifica dell’attuazione del Trattato da parte degli Stati, inficia gli sforzi fatti sinora. Sostanzialmente nella configurazione che pare uscita dai negoziati l’attuazione del Trattato sarebbe esclusivamente affidata agli Stati stessi, che diventerebbero controllori di se stessi, con le ovvie conseguenze. Cantare vittoria in queste condizioni, per il movimento internazionale che ha dato vita a Control Arms, è veramente sbagliato”.

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“Se è apprezzabile che i paesi dell’Unione Europea si siano impegnati a sostenere un Trattato sul commercio di armi di alto livello e giuridicamente vincolante per rafforzare la pace e la sicurezza internazionale, non va però dimenticato che negli anni recenti diversi governi europei hanno fortemente incentivato le proprie esportazioni di armamenti soprattutto verso le zone di maggior tensione del pianeta come il Medio Oriente, la penisola araba e il sub-continente indiano. Anche sul versante della trasparenza, vari governi europei sono tuttora alquanto reticenti a rendere conto delle proprie esportazioni di armi: nonostante da tredici anni sia richiesto di riportare dell’UE queste esportazioni, l’ultimo rapporto europeo segnala che Gran Bretagna, Germania, Belgio, Danimarca, Polonia, Grecia e Irlanda non hanno fornito le informazioni necessarie”. A livello generale uno dei problemi più gravi è quello relativo al controllo delle munizioni, che paesi impostanti come gli stessi Stati Uniti (in questo non stimolati ad una diversa posizione dai fatti di Denver) vogliono tenere fuori dagli accordi. Una scelta problematica se consideriamo che ogni anno sono diversi miliardi le pallottole prodotte nel mondo.

Sulle armi leggere anche la posizione portata avanti dall’Italia, distanziandosi da quella della Comunità europea, risulta negativa verso un reale controllo. “Non ci stupisce che il governo italiano abbia chiesto di escludere dalla regolamentazione del Trattato le cosiddette armi leggere ad uso civile e sportivo”, evidenzia Carlo Tombola, direttore scientifico di Opal Brescia, l’Osservatorio permanente sulle armi leggere. “L’Italia è infatti uno dei maggiori produttori ed esportatori mondiali di queste armi e le nostre autorità non hanno avuto alcuna remora ad autorizzarne l’esportazione verso la Libia di Gheddafi, la Bielorussia di Lukashenko, il Turkmenistan di Berdimuhammedow e la Russia di Putin oltre a vari paesi arabi. La lobby armiera bresciana -capitanata dalla ditta Beretta di Gardone Val Trompia- non gradisce certo troppe restrizioni sulle esportazioni di queste armi che rappresentano un giro d’affari di oltre 250 milioni di euro all’anno”.

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Tutti questi elementi spingono la Rete Italiana per il Disarmo a chiedere al Governo di dettagliare la propria posizione anche di fronte all’opinione pubblica ed alla società civile. La richiesta delle realtà che si battono per un mondo più sicuro e disarmato è quella che l’Italia si metta in prima linea per rendere il Trattato, nei prossimi passi di discussione internazionale, maggiormente dettagliato e dotato di strumenti reali di controllo. In questo senso è anche importante capire quali intenzioni abbia il Governo Monti sulla legge 185/90 che regola l’export italiano e che, nonostante necessiti di alcuni miglioramenti, non può essere stravolta nelle sue prerogative come invece si è tentato di fare in questi ultimi anni.

Di seguito la posizione ufficiale internazionale della campagna Control Arms sulla proposta di testo avanzata dal presidente della Conferenza.

In particolare sono cinque i “buchi” o scappatoie che hanno bisogno di essere sistemate:

1. Sono senza significato i riferimenti sui controlli verso le parti/componenti di armi e le munizioni.

I riferimenti ai controlli sulle parti e componenti e munizioni sono stati redatti in modo da escluderli dalle disposizioni del testo (cioè non sono dettagliati i criteri di trasferimento e di comunicazione). Ciò significa che ai sensi del Trattato potrebbero ancora essere utilizzati per violare i diritti umani e del diritto internazionale umanitario.

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2. Gli Stati membri possono eludere i controlli sulle armi attraverso lo strumento del “regalo” o attraverso programmi di assistenza militare.

Poiché il testo si applica solo al “commercio internazionale di armi convenzionali”, ciò significa che le armi che vengono fornite attraverso programmi di assistenza militare sarebbero esentate dai controlli. Si tratta di una vera e propria scappatoia per gli Stati, con impatto potenziale enorme e negativo.

3. Le norme che disciplinano l’esportazione di armi consentono agli Stati di ignorare i diritti umani.

La valutazione ancora in capo alle istituzioni nazionali del rischio rappresentato dalle esportazioni di armi consente agli Stati di fornire armi a chi viola i diritti umani se c’è la possibilità che possa in qualche modo “contribuire alla pace e alla sicurezza” secondo il proprio particolare punto di vista.

4. Gli Stati membri possono farsi un proprio giudizio su particolari casi di commercio a prescindere dei criteri generali del Trattato.

Alle scelte singole di uno Stato è dato un primato rispetto agli obblighi derivanti dalle disposizioni presento del progetto di testo del Trattato. Indipendentemente dal diritto internazionale, questo consente agli Stati di interpretare i criteri a modo loro. Ciò consentirà agli Stati di ignorare, se vogliono, eventuali gravi conseguenze negative di un trasferimento di armi.

5. Un trasferimento di armi già in corso e con contratti sottoscritti non può essere fermato indipendentemente dal comportamento del destinatario.

La Russia continua a fornire armi alla Siria, sulla base degli attuali contratti di armi, nonostante le evidente sofferenze umane causata da questi ordigni in quel paese. Il progetto di testo presentato potrebbe continuare a legittimare questo stato di cose.

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