La memoria corta dei giornalisti sulla mafia
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La memoria corta dei giornalisti sulla mafia

Pizzolungo e Trapani al centro dei crocevia di commistioni spariti dalle cronache giornalistiche. Oggi molti editori vivono d’altro, delle veline e degli scoop falsi.

Alessandria d'Egitto, scontri
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3 Maggio 2011 - 22.00


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di Rino Giacalone
Giornalisti distratti o cosa altro? Giornalisti dalla memoria corta? No forse più semplicemente giornalisti che si fermano alla superficie delle notizie, alle veline, che non leggono le sentenze. Se l’avessero fatto oggi troverebbero ancora di più Trapani con i suoi misteri al centro di quel crocevia fatto di morti ammazzati, intrighi, connessioni. C’è un filo rosso sangue che attraversa il nostro Paese e che è lo stesso anche se le distanze tra un punto e l’altro sono enormi. E’ il filo che parte dal 1984, e forse da prima ancora, da quando in Sicilia Stato e antistato hanno cercato un possibile incontro. Parte ufficialmente dai 15 morti del treno «rapido 904», antivigilia di Natale del 1984, passa per la strage dimenticata (1985) di Pizzolungo contro il pm Carlo Palermo e l’attentato (1989) all’Addaura (fallito) contro Giovanni Falcone e arriva alle stragi del 1992, a quella di via D’Amelio dove furono uccisi il magistrato Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. Supera lo stesso 1992 e tocca le stragi del 1993 quelle che Matteo Messina Denaro volle fare per lanciare terribili segnali, dare la spallaata a quella prima Repubblica che alla fine non aveva garantito i mafiosi che cercavano le assoluzioni in Cassazione. La novità di questi giorni è il coinvolgimento di Totò Riina nella strage del treno 904 (dove è stato già condannato il cassiere della mafia siciliana Pippo Calò): era l’antivigilia di Natale del 1984. Ma c’è un particolare rimasto non citato, Riina è anche condannato (in via definitiva) anche per Pizzolungo, altri soggetti coinvolti nella strategia terroristica li troviamo condannati per alcuni degli episodi che si scorgono su quel filo rosso sangue…

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Si sapeva e c’è la conferma. La strage di Pizzolungo del 2 aprile 1985 dove morirono Barbara Rizzo Asta ed i suoi due gemellini, Salvatore e Giuseppe, fa parte della strategia mafiosa condotta da Cosa Nostra. La sentenza definitiva che ha condannato all’ergastolo i capi mafia, il corleonese Totò Riina e il trapanese Vincenzo Virga, nonchè i palermitani Balduccio Di Maggio e Nino Madonia, ha «sancito» che il tritolo usato a Pizzolungo nel 1985 era lo stesso di quello usato da Nino Madonia per confezionare la bomba dell’Addaura. Madonia è stato condannato sia per Pizzolungo quanto per l’Addaura. Adesso ulteriori indagini dicono che lo stesso tritolo è stato usato per l’attentato al treno 904 e in via D’Amelio. L’autobomba fu preparata invece nella officina di Castellammare del Golfo di Gino Calabrò. Calabrò l’uomo delle stragi del 1993 e che doveva fare scoppiare quell’autobomba in via dei Gladiatori, vicino lo stadio Olimpico di Roma, una domenica di quel 1993, per fare strage di poliziotti e carabinieri. Oggi Madonia e Calabrò sono in carcere, ma tra i detenuti comuni, per loro niente 41 bis. E così per rinfrescarci tutti la memoria, Calabrò è stato condannato per la ricettazione dell’auto usata per la strage di Pizzolungo del 1985.

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Pizzolungo e il tentativo di fare a pezzettini il pm Carlo Palermo, arrivato da meno di 40 giorni a Trapani, «espulso» dalla procura trentina per le indagini sui traffici di armi e droga e i contatti con la politica, di marca socialista, e le grandi banche, non era solo mafia e come è accaduto in altri processi dove è coinvolto il capo mafia Vincenzo Virga i moventi non rientrano solo nella fascia di interesse di Cosa nostra. Come emerge per il delitto di Mauro Rostagno per esempio. Come è emerso per l’omicidio dell’agente penitenziario Giuseppe Montalto, o ancora per l’assassinio del pm Gian Giacomo Ciaccio Montalto o per il fallito attentato all’allora commissario di Mazara, Rino Germanà. Attorno a questi gravissimi fatti criminali si muove un panorama che è fatto di mafiosi, massoni, uomini dei servizi segreti, deviati o non deviati, scenario tutto trapanese che è intriso di queste cose. E però non se ne parla. A Trapani è più facile parlare dell’antimafia che non dei mafiosi e delle loro malefatte. A Trapani il dibattito è altro, quanto danno fa parlare di mafia al turismo. Per adesso per la verità sono gli aerei che partono cariche di bombe e tornano senza dalla Libia a preoccupare il territorio, meglio dicono che questi aerei partissero da qualche altro aeroporto. Nessuno, o pochi dicono, che questa guerra non andava fatta. Intanto per tacitarci il Governo ci ha regalato 10 milioni di euro. Ma questa può essere un’altra storia da raccontare.
Stragi e trattative. Quella del 2 aprile 1985 sembra però essere stata una strage frutto di una trattativa non da farsi (come si sente dire oggi per altri accadimenti come quelli del ‘92 e del ‘93) ma conclusa. Carlo Palermo dava fastidio e andava eliminato. Scampò al tritolo ma non al discredito ordito dentro le stanze dello Stato, dovette presto lasciare la magistratura. E anche questa è una storia da collocare tra i nodi di quel filo rosso sangue. Trapani, la droga, le armi, le collusioni.

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Dal porto di Trapani negli anni ’80 partivano ed arrivavano container con dentro elementi che servivano a fabbricare bombe, atterravano e decollavano aerei con dentro armi invece che medicinali destinati alle popolazioni povere dell’Africa. Addirittura si dice che la droga arrivava dentro aerei militari che posteggiavano dentro l’area militare, ma allora, Birgi era tutto militare, non c’era aerostazione civile, gli aerei civili venivano per così dire ospitati in quello spiazzo allora a confine con una strada provinciale. Oggi ci chiediamo il perché di questi esodi in massa dall’Africa, dovremmo chiederci cosa ha fatto davvero l’Italia per queste popolazioni, li ha solo riempite di armi e bombe, ha usato i suoi terreni per nascondere i rifiuti più schifosi prodotti dalle nostre fabbriche. Fuggono via, anche loro sono le vittime di quelle commistioni che giornalisti con la memoria viva, come Mauro Rostagno e Ilaria Alpi, avevano scoperto.Oggi i giornalisti vivono d’altro, delle veline e degli scoop falsi.

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