70 anni non sono pochi, ma la Rai di oggi è peggiore di prima. Una bella Rai, il compleanno che si celebra, purtroppo però i 70 anni coincidono con una Rai sempre più inadeguata al ruolo di servizio pubblico che dovrebbe assolvere.
All’inizio, tanti anni fa ormai, era per tutti una straordinaria novità, con l’Italia alle prese con i gravi problemi del dopoguerra: la disoccupazione, la subalternità della condizione femminile non solo in campagna, ma anche nelle città e la Rai proprio nella valorizzazione delle donne fu una protagonista eccezionale sia nel campo dello spettacolo, ma anche in quello della cultura e del costume.
Basti pensare alle prime figure di donne che annunciavano da Milano l’inizio delle trasmissioni e man mano anche delle prime trasmissioni innovative e annunciatrici di un possibile ruolo nuovo per le “Signorine Buonasera”. Del resto, per la prima volta, le donne italiane acquistavano il diritto fondamentale del voto e di un graduale e importante inserimento in settori tradizionalmente assegnati solo agli uomini, specialmente per i ruoli direttivi e di comando.
Nello sviluppo progressivo e nel trasferimento a Roma, la Rai diretta da un singolare e straordinario direttore che si ritirò presto in convento per rispondere alla sua vocazione più profonda cominciò ad aprire l’azienda alle domande nuove che salivano dalla società, anche attraverso l’iniziativa dei partiti che avevano dato vita all’eccezionale esperienza della costituente, ai governi di ampie maggioranze e, progressivamente, anche dall’inasprirsi della guerra fredda che tuttavia non impedì alla Rai di seguire con attenzione critica anche quello che accadeva nel blocco sovietico.
Mi capitò, del resto, ancora giovane della FUCI di essere invitato al primo volo Roma-Mosca su una poltrona accanto a quella di un importante esponente del partito comunista, vivace e intelligente. Durante il volo, mi aiutò a comprendere anche certi meccanismi discutibili sulla linea politica dell’URSS e sulla necessità di usare cautela e distacco nel trarre facili conclusioni.
Per me è sempre stata preziosa l’opportunità di intrecciare esperienze di approfondimento in occasione di incontri giovanili negli altri paesi europei di fede occidentale, ma anche legati al palo di Mosca, ma con graduali e misurate posizioni innovatrici e di ispirazione, al fondo socialista e socialdemocratico. Tutto ciò circolava anche in Rai, attraverso l’esperienza e i servizi dei corrispondenti da Mosca, come Vittorio Citterich, Gustavo Selva, Manzolini, Piero Angela (all’ora corrispondente dalla Francia e dall’Algeria), successivamente grande diffusore di sapere scientifico e mio primo intervistatore durante un telegiornale appena nato delle 13:30 allora alle prime uscite.
Personalmente, fu in certo senso la mia prova impegnativa: in diretta mi toccò dialogare con Piero Angela su una rumorosa assemblea di studenti guidati da Mario Capanna. La vivacità e la ricerca dell’innovazione, quasi quotidiana, vedeva protagonisti i diversi direttori: Fabiano Fabiani, Villj De Luca, Emilio Rossi, mio grande maestro che mi chiamò a sostituire il vice direttore Milano, senza alcuna iscrizione di nomi e di paternità sul video, moda discutibile che si è invece estesa rumorosamente in tutte le testate radiofoniche e televisive.
Orribile segnale di spartizione e di insuperabile collocazione partitica per promozioni e assegnazione di ruoli autorevoli. Comunque, i migliori protagonisti di tutta questa fase sono stati anche Albino Longhi, per più occasioni critiche e anche l’attuale editorialista della stampa e di Repubblica.
Ma soprattutto le importanti responsabilità editoriali di giornalisti che per anni hanno editato TV7, Opinioni a confronto, curata da Gastone Favero, per non dire da Gianni Granzotto, Sergio Telmon, Paolo Cavallina lo straordinario collega che ha mirabilmente raccontato il conflitto arabo-israeliano ai tempi di Nasser, Vittorio Citterich e Demetrio Volcic la straordinaria vicenda della Cecoslovacchia di Dubcek ridotto a giardiniere dalla disumanità dei carrarmati a Praga e dal volto truce di Breznev.
Del resto, in modo e non meno efficace, fu raccontato l’incomprensione profonda tra Kissinger e l’onorevole Moro nei colloqui di New York, durante i quali Moro addirittura rimase stravolto da un commento quasi inurbano del segretario USA e fu costretto a rientrare in albergo e ripartire in anticipo per l’Italia. Ma anche la politica interna fu seguita con cura e approfondimento.