Oramai è da tempo che la tecnologia ed i videogiochi sono entrati in campo medico, risultando in molte occasioni efficaci non solo come ausilio di diverse cure, ma costituendo esse stesse una valida terapia. Un team di scienziati è riuscito recentemente a sviluppare Thymia, un videogame grazie al quale è possibile diagnosticare, monitorare e curare la depressione e altri disturbi mentali.
“In questo momento il sistema sanitario esistente è difettoso in molti modi, i medici di base non hanno tempo, gli strumenti attuali a loro disposizione sono questionari soggettivi incredibilmente distorti e non c’è un follow-up tra gli appuntamenti”, ha detto la dottoressa Emilia Molimpakis, CEO e co-fondatrice del software. “Thymia è il primo sistema che offre obiettività e utilizza diversi tipi di dati per creare un modello davvero accurato ed efficace sulla depressione”.
Il programma chiede ai pazienti di giocare a semplici videogiochi, con un supporto neuropsicologico, in definitiva progettato per misurare gli spunti depressivi. Grazie a una sofisticata intelligenza artificiale, il software analizza la voce del paziente, lo sguardo degli occhi e le micro-espressioni insieme a misure comportamentali tra cui tempi di reazione, memoria e i tassi di errore.
Attraverso l’interazione videoludica, i dati raccolti rimandano a modelli indicativi di depressione, consentendo una diagnosi rapida. Poiché il programma è progettato per monitorare i pazienti a lungo termine, questi possono giocare tra un appuntamento e l’altro, aiutando a identificare se i trattamenti stanno funzionando nel tempo.
“Quello che speriamo di ottenere è di aiutare i medici a raggiungere la giusta diagnosi molto più velocemente. Attualmente ciò richiede anni di lavoro che noi vogliamo ridurre in una manciata di settimane, aiutandoli a trovare il giusto trattamento per ogni singolo paziente”, ha riferito la dottoresa Emilia Molimpakis, CEO e co-fondatrice del progetto.
Thymia è stato testato da circa 2mila pazienti presso l’University College e il King’s College di Londra, con prove cliniche che inizieranno nella seconda metà di quest’anno, ma c’è preoccupazione sul fatto se la tecnologia sortirà l’effetto desiderato. “È una buona occasione per ammettere che non siamo molto bravi a raccogliere, capire o sostenere le persone che si sentono depresse”, ha affermato la dottoressa Lucy Johnstone, psicologa clinica. “Una rapida lista di controllo non dirà molto, ma non lo è nemmeno sedersi davanti un videogioco di qualche tipo che monitora il tuo sguardo”, ha commentato.
“In realtà abbiamo bisogno di un essere umano che si sieda davanti a noi e ci chieda di più su quegli eventi traumatici della nostra vita, questo è ciò che ci aiuterà a capire meglio le persone”, ha concluso la Johnstone.
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