La storica sentenza della Corte Costituzionale sul reato di diffamazione: serve una legge nuova
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La storica sentenza della Corte Costituzionale sul reato di diffamazione: serve una legge nuova

Una sentenza accolta con grande favore dai rappresentanti dei giornalisti, ma questo principio varrà per tutti i cittadini

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23 Giugno 2021 - 10.18


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Il reato di diffamazione non sarà più un reato per il quale si andrà in carcere, se non in casi di eccezionale gravità. E questo principio varrà per tutti i cittadini, non solo per i giornalisti. Atteso inutilmente l’intervento del Parlamento, a cui era stato dato un anno per rimodulare il bilanciamento tra la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della reputazione di ogni individuo, la Corte costituzionale ha messo direttamente le mani sulle norme.
Nello stesso tempo la Consulta ha ribadito la necessità di un intervento del legislatore per un “più adeguato bilanciamento” tra i due valori “anche alla luce dei pericoli sempre maggiori connessi all’evoluzione dei mezzi di comunicazione”, a partire dai social, come spiega il comunicato dell’ufficio stampa in attesa del deposito della sentenza, previsto nelle prossime settimane.
Una sentenza accolta con grande favore dai rappresentanti dei giornalisti. “E’ una sentenza storica, ma a questo punto è fondamentale l’intervento del Parlamento”, dicono all’unisono Raffaele Lorusso, segretario generale della Federazione nazionale della Stampa italiana, e Claudio Silvestri, segretario del Sindacato unitario giornalisti della Campania.
Chiamata a pronunciarsi dai tribunali di Salerno e Bari – che ritenevano la pena detentiva per la diffamazione a mezzo stampa illegittima per contrasto con l’articolo 21 della Costituzione e con l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – la Consulta ha dichiarato incostituzionale l’articolo 13 della legge sulla stampa (n. 47 del 1948). E così ha fatto cadere in caso di condanna l’obbligo del carcere da uno a sei anni insieme al pagamento di una multa.
La Corte ha invece ritenuto compatibile con la Costituzione l’articolo 595, terzo comma, del Codice penale, che prevede, per le ordinarie ipotesi di diffamazione compiute a mezzo della stampa o di un’altra forma di pubblicità, la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa. La ragione del salvataggio è che questa norma consente al giudice di sanzionare con la pena detentiva i soli casi di eccezionale gravità.
“La Corte Costituzionale ha fatto la sua parte portando l’Italia nel solco della giurisprudenza di Strasburgo. Siamo soddisfatti la svolta è storica perché l’incubo del carcere in via ordinaria svanisce, mentre l’ipotesi dell’eccezionale gravità è residuale e comincia in concreto a porre dei distinguo tra colpa e dolo che potranno essere meglio definiti quando ci sarà la politica, il Lancillotto di questa vicenda”, ha commentato Carlo Verna, presidente dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti.

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